Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

lunedì, aprile 02, 2018

Antonio Vivaldi: "Ottone in villa"


Chandos - Chan 0614(2) - (p) 1998
Il 1713 fu un anno importante per Vivaldi. Due anni prima aveva affermato il suo diritto ad essere ritenuto uno dei principali compositori strumentali d’Europa con la pubblicazione del suo primo volume di Concerti, L'Estro armonico op. 3; ma fu nel 1713 che l'ago della bilancia della sua carriera si spostò verso la musica vocale. Si trattò, in un certo senso, di un caso largamente fortuito giacché nell’aprile di quell'anno gli amministratori dell’Ospedale della Pietà (l'istituto di beneficenza veneziano che dieci anni prima aveva nominato Vivaldi maestro di violino) concessero al loro maestro di coro, Francesco Gasparini, sei mesi di congedo per malattia. Gasparini, comunque, non tornò più e così Vivaldi occupò il posto vacante componendo per i due anni successivi musiche per le Messe e i Vespri, un oratorio e numerosi mottetti. Nello stesso anno Vivaldi debuttò anche come operista, non nella natale Venezia ma nel centro provinciale di Vicenza.
Il primo teatro lirico pubblico di Vicenza era stato aperto nel 1656, ma venne distrutto da un incendio nel dicembre 1683. Ricostruito nel 1688 e riaperto l'anno dopo il nuovo Teatro di Piazza, noto anche come Teatro delle Garzerie, era molto piccolo. Il palcoscenico probabilmente misurava menu di dieci metri di profondità e l'auditorio meno del doppio di quella lunghezza, con ottantotto palchi disposti su quattro ordini che contenevano quattro posti ciascuno. Gran parte del repertorio operistico a Vicenza era importato di seconda mano dalla vicina Venezia, ma pare che nel 1713 sia stato introdotto un sistema diverso. Era stato aperto un nuovo teatro, più grande, il Teatro delle Grazie, e la decisione di presentare in prima esecuzione il 17 maggio l’Ottone in villa di Vivaldi, opera del tutto nuova, può essere stata il risultato di una rivalità commerciale fra i due teatri.
Oltre agli archivi della Pietà che contengono un verbale del 30 aprile 1713 nel quale gli amministratori concedono a Vivaldi un mese di congedo, abbiamo anche altre informazioni sulla sua attività in questo periodo. Una quietanza, recentemente scoperta, di pugno vivaldiano, datata 27 giugno, accusa ricevuta del pagamento di 310 lire a lui stesso, a suo padre e ad altri due violinisti per aver suonato in due Messe, due Vespri Solenni, mottetti, un oratorio ed un Te Deum, e di un ulteriore pagamento di 186 lire per la composizione e copia del suo oratorio. Questo oratorio La vittoria navale di Vivaldi, eseguito il 23 giugno nella Chiesa della Santa Corona a celebrazione della vittoria navale dei cristiani sui turchi a Lepanto nel 1571. Purtroppo di questo pezzo solo il libretto è sopravvissuto ma presumibilmente l'oratorio usava molti degli stessi cantanti e strumentisti di Ottone in villa. Le cronache riferiscono che Vivaldi


 "...con il suo miracoloso violino fe’ un intermedio di cornemuse e poi un ecco aplaudito in eccesso fra l`organo nostro grande e i1 suo violino con una fuga di tutti gli stromenti che raportò il Viva di tutti."

Come si può immaginare, date le circostanze della sua prima rappresentazione, 1’Ottone in villa è opera di piccole proporzioni. Richiede solo cinque cantanti, non ha coro (il che e tipico della maggior
parte delle opere italiane di quel tempo), non ha effetti scenici elaborati ed esige solo una piccola orchestra. Il libretto è del napoletano Domenico Lalli, con cui Vivaldi ebbe relazioni per varie imprese operistiche nel corso della sua carriera. Il libretto di Lalli per Ottone non è proprio originale: è basato su Messalina di Francesco Maria Piccioli, messo in musica da Carlo Pallavicino per Venezia nel 1680. Il gusto operistico negli anni successivi a questa data aveva subito varie vicende, e i cambiamenti di Lalli largamente riflettono recenti riforme del libretto: la trama è molto semplificata, i1 numero dei personaggi essendo ridotto da otto a cinque e i1 numero delle arie da sessantacinque a ventotto. Ne risulta uno spettacolo leggero ed amorale, nel quale la civettuola Cleonilla ha sempre il sopravvento e i1 credulo Imperatore Ottone (una figura tutt’altro che eroica!) non scopre mai la verità del modo in cui è stato ingannato.
Il libretto a stampa del 1713 porta una dedica firmata da Lalli a Henry Lord Herbert, figlio maggiore del Conte di Pembrike e Montgomery, che - come molti dei suoi contemporanei - stava facendo il Grand Tour. La lista dei personaggi originale era la seguente:


Cleonilla: Maria Giusti ("La Romanina”)
Ottone: Diana Vico
Caio Silio: Bartolomeo Bartoli
Decio: Gaetano Mozi
Tullia: Margherita Faccioli (Vicentina)
 
Il fatto che la parte di Ottone sia stata cantata da una donna e quella di Caio dal soprano/castrato Bartolomeo Bartoli avrà reso l'ambiguità sessuale del ruolo di Tullia/Ostilio perfettamente credibile ad un pubblico contemporaneo. Nessuno dei cantanti era di primo piano e soltanto Mozi canterà di nuovo in un'opera vivaldiana, sebbene Giusti e Faccioli abbiano cantato al Teatro Sant’Ange1o a Venezia dove Vivaldi era impegnato come compositore e come impresario. Il contralto veneziano Diana Vico sembra essersi chiaramente specializzata in ruoli maschili ed in questa veste entrò a far parte della compagnia di Handel al King's Theatre di Londra nel 1714.
Com'è costume dell’opera italiana del primo Settecento la musica di Ottone in villa comprende un alternarsi di recitativi e arie a solo, quest'ultime offendo a turno ai personaggi la possibilità di riflettere sull’azione che si è svolta nel precedente recitativo. Molti aspetti della prima maniera operistica di Vivaldi sono visibili nelle arie: interesse contrappuntistico nelle parti strumentali; leggere strutture di accompagnamento che spesso appaiono solo in due o tre parti; frequente omissione del basso durante i brani vocali; inusitati intervalli melodici quali terze diminuite e seconde aumentate; e subitanei cambiamenti di tempo.
L'opera si apre con una Sinfonia in tre movimenti. Il primo e più esteso deve al concerto grosso le contrastanti sezioni di piena orchestra con passaggi per un paio di oboi in terze ed ulteriori sfoggi di virtuosismo per i due violini solisti. Il secondo movimento è in forma binaria, ogni metà essendo prima suonata dagli oboi accompagnati dai violini e poi da tutti gli archi con raddoppio degli oboi. La stessa prima sezione di otto battute è poi trasportata dal do minore al do maggiore per l'Allegro conclusivo (pure in forma binaria); queste battute, in effetti, ricordano un passaggio dell`oboe nel primo movimento, con ciò producendo un'inconsueta congiunzione tematica fra tutti e tre i movimenti.
L'aria di Caio nell’Atto I, Scena 5, "(Chi seguir vuol la costanza”, sembra sia stara fra le preferite da Vivaldi. Inizia con un canone fra violini e basso, in ovvio motteggio al testo nel suo significato letterale, che deve essere piaciuto al compositore che  riadopera la musica in molte altre opere, fra le quali la versione l714 dell'Orlando furioso per Venezia, l'opera Tito Manlio per Mantova, svariate versioni del Laudate pueri Dominum, RV 602/602a/603, e il Concerto per violino RV 268. L'aria di Ottone nell`Atto I, Scena 7, “Frema pur' si lagni Roma” contiene molta scrittura in unisono per voce ed archi, con note fortemente ripetute, figurazioni balzanti e fioriture di biscrome che descrivono la determinazione dell'Imperatore. Poi questa scrittura è in contrasto con diversi brani di teneri Adagi in cui il suo pensiero si volge all'adorata Cleonilla. L'aria di Ottone, “Come l'onda", all’inizio dell’Atto II, presenta un tipico quadro musicale vivaldiano di tempesta di mare, mentre l'aria di Caio, “Gelosia tu già rendi l’alma mia”, descrive la violenza della sua gelosia in un pezzo di brillante virtuosismo con il quale termina il primo atto. Anche qui c'è una sezione più lenta, questa volta al centro dell’aria tripartita da capo, in cui impreviste armonie cromatiche ritraggono il dolore del suo amore respinto. Quest'idea di tempi contrastanti per conflitti emotivi è portata al suo estremo nell'aria di Tullia nell'Atto II, “Due tiranni ho nel mio cor[e]”, nella quale i "due tiranni" nel suo core, indignazione e amore, sono rispettivamente espressi da una musica vivace per tutti gli archi e gli oboi, e da passaggi più lenti e sospiranti per i soli archi superiori. Sebbene molte delle arie siano strumentate per i soli archi, l'Atto II, Scena 3 contiene una tradizionale aria in eco, in cui Tullia, dal suo nascondiglio, ripete in eco le parole di Caio, le sue ripetizioni delle sillabe finali giocando con l'italiano per alterare il significato del testo, il tutto accompagnato da coppie trillanti di violini e flauti dolci in scena.
L'Atto III è inusitatamente breve, in quanto che contiene solo cinque arie ed un breve coro conclusivo per tutti i solisti. L'aria di Decio, "L'esser amante", mostra l'influenza francese e con i suoi croccanti ritmi puntati anticipa svariate arie composte da Vivaldi in stile francese durante i pochi primi anni della sua carriera d'operista. L'aria finale di Caio comprende un a solo di violino che raddoppia la linea vocale all'ottava superiore. Nel ritornello finale dell'aria l'orchestra ha l'ordine di fare una pausa, per permettere al violino solista (che a Vicenza fu probabilmente lo stesso Vivaldi) d’improvvisare una cadenza. Questa sarà stata certamente un pezzo elaborato, giacché abbiamo la descrizione di un tedesco che assistette all’opera veneziana nel 1715, il quale dichiarò di essere stato strabiliato alla vista di Vivaldi Clic eseguiva una "Fantasia" posando le dita


"...ad un capello dal ponticello cosicché c'era appena spazio l'arco, suonando su tutt'e quattro le corde con fugati a rapidità incredibile."

Sebbene non sia provato che Ottone sia mai stato eseguito a Venezia, alcune singole arie vennero riusate in opere successive, e l'intera opera fu ripresa al Teatro Dolfin di Treviso nell'ottobre del 1729. Nove arie e buona parte del recitativo vennero tagliate per questa rappresentazione per la quale vennero scritti nuovi testi per le arie. La partitura autografa di Vivaldi, unica fonte superstite per la musica, fu chiaramente scritta per la rappresentazione originale del 1713 e poi riveduta per l'esecuzione successiva: sezioni del recitativo sono state stralciate o rievocate in tonalità diversa, e molte arie sono marcate "aria in bianco", pur mancando i testi delle nuove arie. L'edizione usata per il presente disco generalmente segue la versione 1713, sebbene siano stati adottati molti dei tagli nel recitativo che appaiono nel libretto successivo. Anche se neppure i più ardenti ammiratori dell’opera del Settecento potranno affermare che il testo del Lalli è un capolavoro drammatico, le orecchiabili melodie e la comunicativa energia della musica di Vivaldi offrono ampia prova che Ottone si merita qualcosa di più dell'occasionale ripresa moderna che le è stata finora accordata.

LA TRAMA
Atto I
L'opera si svolge nella villa di campagna dell'Imperatore romano Ottone, con i suoi ameni giardini cinti di viali alberati, stagni e fontane. Ottone è follemente innamorato della bella Cleonilla che, all'inizio dell'opera, si rivela intenta "a cogliere fiori per adornarsi il seno". Essa confessa che sebbene amata dall'Imperatore trova impossibile resistere al fascino di qualsiasi attraente giovanotto. Uno dei suoi vecchi amori era Caio Silio, ma egli è stato recentemente rimpiazzato nei suoi favori dal suo nuovo paggio, Ostilio. Cleonilla proclama a Caio di amarlo ancora, anche se a parte rivela che adesso trova Ostilio ancora più avvenente! Ottone arriva, anticipando il piacere di dimenticare onerosi affari di stato in questo leggiadro ambiente, ma Cleonilla lo provoca affermando che egli non può amarla veramente poiché passa così poco tempo con lei. Ottone chiede a Caio di aiutarlo a curarla della sua gelosia, mentre Caio si stupisce della credulità dell'Imperatore. A questo punto entra Tullia. Un tempo fidanzata a Caio lo ha seguito in spoglie maschili ed altro non è che Ostilio. "Ostilio" chiede a Caio se ricorda ancora di aver tradito la sfortunata Tullia. Caio, pur notando che il paggio somiglia straordinariamente a Tullia, non indovina la verità; egli dichiara che il suo nuovo amore per Cleonilla ha scacciato Tullia dai suoi pensieri, mettendo in dubbio nell'aria che segue i meriti della costanza, giacché l'amore diviene un peso senza varietà. "Ostilio" medita di vendicarsi.
La scena si sposta alle terme dove Cleonilla è appena emersa dal bagno. Sta ancora stuzzicando Ottone ma vengono interrotti da Decio, fedele consigliere di Ottone, il quale dice all'Imperatore che Roma lamenta la sua assenza. Ottone non se ne cura ma dopo che egli è uscito Cleonilla interroga Decio per sapere cosa si dice di lei a Roma. Decio non vede di buon occhio la sua impudicizia, e la sua aria, il cui testo sostituisce quello trovato nel libretto a stampa del 1713, le dice che essa si illude se crede che l'amore di un re possa supplire alla mancanza dell'onore vero. Partito Decio "Ostilio" arriva e immediatamente Cleonilla dichiara il suo amore per lui. "Ostilio" s'impossessa di questa dichiarazione per vendicarsi di Caio, incoraggiando Cleonilla a giurare la sua fedeltà amorosa a lui e la sua avversione per Caio. Caio, che ha ascoltato di nascosto, è inorridito e risolve di rivelare all'Imperatore la slealtà di "Ostilio", terminando l'atto con un'aria focosa che descrive la sua gelosia e il suo amaro cordoglio.
Atto II
In un ridente giardinetto infossato Decio avverte Ottone che Cleonilla sarà la sua rovina giacché Roma disapprova dei suoi numerosi e ben noti amori. Ottone cade dalle nuvole e in una tipica aria settecentesca a programma paragona il suo turbolento stato d'animo alle onde violente di un mare in tempesta. Decio rivela che si è deliberatamente trattenuto dal dire all'Imperatore che Caio è il suo rivale ma non vuole spiegare a Caio cos'è che ha tanto sconvolto Ottone. Caio apparentemente lasciato solo, riflette sulla sua infelicità ma viene ascoltato di nascosto da Tullia che gli risponde a guisa d'eco. L'eco, affermando di essere la voce di uno spirito infelice, tormenta Caio i cui dolenti sentimenti sono ritratti in un breve brano di recitativo accompagnato e dall'aria in eco che segue. A questo punto "Ostilio" si scopre e canta del conflitto nel suo cuore fra i "due tiranni", indignazione e amore.
La scena si sposta ad un padiglione rustico dove Cleonilla sta ammirandosi allo specchio. Entra Caio, ma le sue dichiarazioni d'amore vengono respinte con noncuranza. Caio le da una lettera che proclama i suoi sentimenti, ma mentre Cleonilla sta per leggerla arriva Ottone e gliela strappa di mano. Ottone legge che Caio è suo rivale, ma Cleonilla gli dice che Caio le ha semplicemente consegnato la lettera da passare alla persona a cui è effettivamente indirizzata, Tullia, che lo ha tradito. Il credulo Ottone le presta fede ed ella rinforza l'inganno scrivendo una seconda lettera - il suo personale appello a Tullia - che chiede a Ottone di consegnare. Giunge Decio con ulteriori notizie di congiure a Roma, ma Ottone tuttora si rifiuta di ascoltare una parola contro Cleonilla e fa chiamare Caio. Rimprovera il fedifrago Caio che dapprima crede di essere stato scoperto, ma poi si accorge, con suo grande sollievo, che Ottone è in collera non perché ha scovato la sua relazione con Cleonilla ma semplicemente perché Caio ha sollecitato l'aiuto di Cleonilla invece di rivolgersi direttamente al suo Imperatore. Rimasto solo Caio è colpito dalla furbizia di Cleonilla, mentre nella scena finale dell'atto il desolato "Ostilio" chiede ad Amore di porgerle aiuto.
Atto III
Su un sentiero ombroso ed appartato Decio nuovamente cerca di persuadere Ottone del pericolo che lo aspetta a Roma, ma l'Imperatore nella sua aria dichiara che nulla gli importa del trono o dell'Impero pur di trovare felicità nell'amore. Decio profetizza l'imminente caduta di Ottone giacché l'amore in un regnante è segno di debolezza, ma viene interrotto dall'arrivo di Cleonilla e Caio. Ella continua ad ignorare gli approcci di quest'ultimo, e quando appare "Ostilio" indirizza alternativamente parole d'amore a lui e di ripulsa a Caio. Caio pretende di seguire il suo consiglio e di allontanarsi, ma in realtà si cela. Cleonilla continua a dichiarare il suo amore per "Ostilio" che l'incoraggia nella sua aria, allo stesso tempo rivelando a parte che Cleonilla sta facendo uno sbaglio. La vista dei due che si abbracciano manda in furia Caio che si precipita su "Ostilio" con un pugnale. Le grida di Cleonilla richiamano Ottone e Decio che al loro arrivo esigono da Caio una spiegazione. Egli descrive la scena a cui ha appena assistito - Cleonilla e "Ostilio" che si baciano e abbracciano - e lo scandalizzato Imperatore gli ordina di portare l'azione a compimento e di uccidere il traditore. "Ostilio", però offre di giustificarsi e togliendosi il travestimento si rivela come la tradita Tullia. Nella sua vera veste Tullia adesso protesta l'innocenza di Cleonilla e accusa Caio di essere il vero traditore. Tutti fanno le meraviglie anche se Ottone si ricompone con straordinaria rapidità, esprimendo il suo desiderio di vedere Caio e Tullia sposi e chiedendo perdono a Cleonilla. L'opera termina con un concertato di giubilo generale.
 
Eric Cross (Traduzione: Marcella Barzetti)

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