Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

venerdì, gennaio 09, 2015

Addio a Benedetti Michelangeli: "Non ha mai odiato gli italiani"

Arturo Benedetti Michelangeli
(Brescia, 5/1/1920 - Lugano, 12/6/1995)
Crisi cardiaca o altro? Arturo Benedetti Michelangeli era ricoverato da una settimana all'Ospedale Civico di Lugano. E mentre i familiari preferiscono accennare a una morte imprevista, due medici, in un angolo della piazzetta di fronte alla chiesa dove si è officiata la messa funebre del maestro, rivelano sottovoce il mistero di un male all'ultimo stadio di cui lui stesso era a conoscenza. Gli amici lo ricordano allegro e sereno ancora domenica mattina, ma dopo qualche ora l'aorta avrebbe ceduto. Essere sepolto nella nuda terra. Era questo l'ultimo suo desiderio. Durante la messa, il suo consulente finanziario Paolo Mettel è salito sull'altare, ha estratto un foglietto e ha letto le ultime volontà del maestro, scritte di suo pugno a Zurigo il 6 ottobre 1986, in una grafia tremolante e minuta e concluse da un semplice "grazie". Dunque: non voleva che la sua morte venisse annunciata; chiedeva un funerale non pubblico, la benedizione di "un religioso" e una cassa "semplice". Una sola croce, senza lapide. Ha voluto essere sepolto a Pura, dove arrivò nel 1972, un piccolo paese che guarda il lago di Lugano, e a Pura è stato sepolto ieri pomeriggio, alle tre, dopo una funzione sobria. Qui, tra alti abeti e castagni imperiosi (poco distante dalla casa di Vladimir Ashkenazy), aveva acquistato una bella villa da cui il maestro ogni mattina partiva per lunghe passeggiate a piedi. Qualche volta i vicini sentivano il suo pianoforte: "Suonava anche di notte", dice il giardiniere. Dalle parole dell'imprenditore Mettel è venuto fuori un ritratto inedito del maestro: "Non ha mai avuto una parola di acrimonia contro gli italiani, odiava solo i cretini". Mettel parla di mistificazione, ma non nega che fosse amareggiato negli ultimi anni dal mercato clandestino: "Dopo la scoperta di due suoi dischi pirata nell'autunno 1993, aveva giurato di non esibirsi più". Quei dischi, recapitatigli dal Giappone, erano stati prodotti in Brianza. "La vicenda di Londra - prosegue Mettel - fu stravolta". Rifiutò di esibirsi davanti a turisti italiani perché "il suo nome era stato sbattuto sulla locandina come una star da Crazy Horse". Vicini alla bara di abete, coperta di gerbere e rose bianche, la compagna Anne Marie Gros Dubois, la moglie, bresciana - da cui il maestro non si separò mai, ma con cui non viveva da anni -, Maurizio Pollini, la pianista argentina Martha Argerich, l'accordatore personale, i dirigenti della Steinway. Il fratello, violinista, è partito in mattinata. Davanti a 150 persone, ben cinque officianti, tra cui il parroco di Pura e il suo anziano confessore don Antonio Sfriso. Il quale ha ricordato la sua fede severa, "francescana": "Nella sua cartella portava i Vangeli e "L'imitazione di Cristo". Senza dimenticare la generosità: la colletta fatta durante la messa è destinata, per suo espresso desiderio, a un gruppo di bambini indiani e a una missione nello Zimbabwe. "Io sono fatto di musica", disse un giorno durante un pranzo al suo assistente spirituale tamburellando con le dita sul tavolo. Non per ascoltare la musica, ma per sentire la messa, domenica mattina, qualche ora prima di morire, dal suo letto d'ospedale chiese una radiolina. "Era allegro e sereno - ripete Mettel -, e ultimamente pensava di riprendere a suonare in pubblico". Forse sapeva che era solo un sogno. Forse aveva già un progetto. Lo si saprà quando verranno aperte le porte del suo studio, in cui si conservano tonnellate di carte.
 
Di Stefano Paolo ("Corriere della Sera", 14 giugno 1995)

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