Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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sabato, novembre 23, 2013

Sinopoli: Intorno alla "Lou Salomè"

Venezia, "Lou Salomé" di Giuseppe Sinopoli
Giuseppe Sinopoli si è dedicato alla composizione soltanto per una dozzina di anni, tra il 1968 e il 1981. Si possono, grosso modo, distinguere tre maniere nel suo viatico compositivo. Dopo un paio d’anni di apprendistato, tra modalità arcaicizzanti, prossime alla Generazione dell’Ottanta, ed elementari articolazioni dodecafoniche, con la partecipazione ai corsi di Darmstadt si avvicinò alla neo avanguardia, e a Stockhausen in particolare. Successivamente fu decisivo l’incontro con Franco Donatoni, il suo maestro per un triennio, tra il 1970 e il 1973, il periodo in cui il nostro musicista scrisse le prime opere del suo catalogo ufficiale. In queste pagine Sinopoli assimila i meccanismi automatici di Donatoni, il quale teorizzava «la perdita della volontà e della capacità di distinguersi dalla materia». Ma se su piano compositivo Sinopoli ubbidiva ai principi sintattici di Donatoni, nelle sue glosse a commento delle opere andava talora riscoprendo la voce di irrazionali irrequietezze.
Di qui l’abbandono di Donatoni e la conquista di uno stile personale, in cui l’ardita ricerca contrappuntistica e un linguaggio molto complesso si apriva al fuoco della soggettiva: mi riferisco soprattutto a tre opere fondamentali, Souvenirs à la memoire, Tombeau d’Armor e Requiem Hashshirim del 1976 per quattro gruppi corali a parti reali, che conclude il rapporto con l’avanguardia e che Sinopoli riprenderà nel finale di Lou Salomé, la sua unica opera teatrale andata in scena alla Staatsoper di Berlino nel 1981 e ora coraggiosamente ripresa, dopo un trentennio, dalla Fenice, nonostante l’enorme impegno produttivo (due orchestre con centotrenta elementi, una decina di cantanti, un grande coro).
Qui e nel precedente Tombeau d’Armor Terzo, per violoncello e orchestra, che rende omaggio alla tradizione romantica del concerto solistico, si apre la terza maniera del compositore: drastico il rifiuto della nuova musica, e sempre più evidente il rapporto con la storia e con il fine secolo.
Lou Salomé è il culmine delle speculazioni teologiche e filosofiche dell’autore.
È, in certo senso, il suo autoritratto etico e culturale. I personaggi sono costruiti con citazioni di poeti, filosofi e letterati che fanno parte del cosmo spirituale del musicista. L’abile librettista Karl Dietrich Gräwe ne rispetta fedelmente le idee. La protagonista è Lou Andreas Salomé, la scrittrice psicanalista, allieva di Freud, messa in relazione con le figure che l’hanno frequentata e amata. È una drammaturgia simbolica e antinaturalistica, fortemente speculativa, che sarebbe errato non rispettare sul piano rappresentativo.
Agiscono figure allegoriche, espressione di una idea poetica che si muove tra Jugendstil e espressionismo, le capitali di un mondo onirico che interessano anche il direttore d’orchestra. Non c’è una narrazione lineare, né uno sviluppo drammatico: è un teatro a pannelli, deliberatamente statico, che procede per illuminazioni. Si succedono singole stazioni teatrali, che evocano momenti della vita di Lou Salomé, dalla nascita alla morte, senza alcuna pretesa di esattezza biografica, ove il vero si intreccia con l’inconscio. Nel destino di Lou si rispecchia la storia culturale tedesca.
La ricerca di Dio coesiste con una tensione erotica continuamente contraddetta e elusa.
Gli incontri documentati con Nietzsche, con Rilke, con l’orientalista Andreas e con Paul Ree, amico di Nietzsche, sono liberamente espressi, senza realismo e con lirica intensità.
Di conseguenza l’apparente mancanza di drammaturgia è in realtà il segno della modernità dell’opera, nonostante il suo carattere retrospettivo. Sinopoli rivive i miti del mondo mitteleuropeo tra Otto e Novecento con totale immedesimazione.
Affiorano il liederismo mahleriano, i temi notturni del Tristano, la vocalità tentacolare e l’orchestrazione sontuosa e cameristica della Lulu di Berg. Continuamente ritornante l’appello liederistico, in cui riemerge la poetica luttuosa del Viandante romantico (si pensi alla canzone del Servo, come ratifica della disfatta, drammaticamente affine al lamento dell’Innocente nel Boris). Né mancano allusioni rapsodiche, barcarola o valzer, prossime al Wozzeck, con uno sguardo al Kitsch. L’opera fa un largo ricorso alla forma del duetto, quale intensificazione sentimentale: lo splendido doppio duetto del finale primo (Lou – Andreas; Lou – Ree) evoca l’elegia notturna del Tristano. Singolari i quadri corali. L’inizio è un inno alla libertà in Russia nel 1861, l’anno in cui venne abolita la servitù della gleba, che coincide con l’anno di nascita di Lou, una libertà percorsa però da ansie e da inquietudini. Le luci si sprigionano dalle tenebre. L’opera si conclude con un affresco che riprende il Requiem scritto cinque anni prima, uno dei capolavori polifonici del secondo dopoguerra, percorso da ombre schönberghiane. Questo coro, ora sostenuto dall’orchestra, è la punta dello sperimentalismo dell’autore, stilisticamente dissonante con le nostalgie decadentistiche di Lou Salomé.
Comunque una pagina vigorosa, arricchita da un epilogo, in cui la protagonista rilkianamente aspira al divino e insieme alla morte. Il secondo atto è meno coerente del primo. Ci sono aspetti che paiono ancora incompiuti. Soprattutto un lunghissimo parlato di oltre venti minuti è problematico da realizzare in Italia (il testo è in tedesco). Ciò però non compromette l’impressione complessiva. Credo che all’ascolto Lou Salomé apparirà come un momento significativo del teatro italiano postpucciniano.
Rimane aperto un quesito. Come mai Sinopoli ha smesso di scrivere dopo quest’opera? Certo era molto impegnato come direttore d’orchestra, ma probabilmente aveva una sfiducia nel comporre, sia per gli orientamenti della «nuova musica » (espressione che non accettava più), sia per le tendenze neoromantiche allora diffuse in Germania e alle quali veniva superficialmente associato. Sinopoli è uno degli ultimi melodisti, interessato a un’orchestrazione vistosa, ma anche trasparente, con una conoscenza di tutti i sortilegi del liberty internazionale e dei deliri espressionisti, tra Schrecker e Berg: lucentezze nel dramma.
 
Mario Messinis (“Venezia, musica e dintorni”, Anno IX, n.44, febbraio 2012)

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