Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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sabato, novembre 10, 2012

Hildegard von Bingen: la profetessa teutonica

Hildegard von Bingen (1098-1179)
Per quasi 2000 anni i dottori della Chiesa sono stati esclusivamente uomini. Fino al 1970, questo titolo è stato conferito a trenta teologi. Soltanto nel novecento sono stati proclamati ben sette nuovi dottori della Chiesa. Il periodo successivo al concilio Vaticano II, però, ha segnato una svolta inaspettata: dal 1970 il destino di essere proclamate dottore della Chiesa è spettato a tre donne: il 27 settembre 1970 è la volta di santa Teresa d’Avila e, il 4 ottobre 1970, di santa Caterina da Siena – entrambe proclamate da Paolo VI. Santa Teresa di Lisieux invece è stata proclamata il 19 ottobre 1997 da Giovanni Paolo II.
Bisogna tenere presente il rango e l’importanza di queste donne sante. Teresa d’Avila e Caterina da Siena sono senza dubbio figure di spicco del mondo letterario spagnolo e italiano. Caterina da Siena, per esempio, riveste un ruolo centrale, pari a Dante e al Petrarca. Mentre Caterina è la patrona principale d’Italia, Teresa è la patrona della Spagna. La “piccola” Teresina, invece, percorrendo la sua via di fede, disseminata di prove durissime, nella grande oscurità della pura fede nell’amore di Dio diventa l’esempio di un’autentica “piccola via” della perfezione: è la patrona secondaria di Francia e la patrona principale di tutte le missioni della Chiesa. Soprattutto la “grande” Teresa (d’Avila) e Caterina da Siena, grazie al loro vasto impegno per un profondo rinnovamento della Chiesa, si sono dimostrate ciò che possiamo chiamare “donne forti”. Esse hanno mostrato grande coraggio nel relazionarsi con i principi secolari e con quelli della Chiesa del loro tempo: nelle loro lettere e visite personali a chierici e principi, furono convincenti al punto tale da fargli cambiare opinione, e non hanno mai esitato a usare parole forti.
Il 7 ottobre, a questo elenco verrà aggiunta anche santa Ildegarda di Bingen (1098 - 1179). Anche lei tenne una fitta corrispondenza con papi, re, principi, vescovi, religiosi e laici, e intraprese diversi viaggi missionari soprattutto lungo le rive del Reno e nella Germania del sud. Lì predicò la conversione al popolo e al clero. Anche lei ebbe delle straordinarie doti poetiche. Mentre le altre tre sante venivano dall’Italia, dalla Spagna e dalla Francia, santa Ildegarda di Bingen è la prima santa proveniente dall’Europa centrale, e per di più dall’ambito di lingua tedesca, a avere questo onore.
Credo che il significato della proclamazione di queste quattro sante, avvenuto nell’arco di ben quarant’anni e per volontà di tre papi, finora non sia stato abbastanza riconosciuto – nonostante le molteplici richieste di una valorizzazione più adeguata della donna nella Chiesa, avanzate dagli ambienti femministi e di emancipazione. Anche se ciò che di queste sante colpisce di più è la loro grande spiritualità, non bisogna dimenticare che erano anche molto colte e dotate di grande talento organizzativo. La loro sensibilità tipicamente femminile, però, ha anche fatto sì che, alla luce delle loro testimonianze spirituali, noi dobbiamo rivedere e concepire in maniera più ampia il termine di “teologia” che, soprattutto a partire dall`alto medioevo fino a oggi, è stato ristretto e accentuato in modo unilateralmente razionale. Sarà nostro compito fare luce su come queste donne abbiano saputo dare il loro particolare contributo alla teologia, e come «con la loro intelligenza e sensibilità» siano state «capaci di parlare di Dio e dei misteri della fede» (Benedetto XVI, Heilige und Selige. Große Frauengestalten des Mittelalters).
Vorrei delineare brevemente le tappe più importanti della vita di santa Ildegarda. Nacque nel 1098 a Bermersheim vicino ad Alzey nell'Assia-Renana da una numerosa famiglia nobile. Fin dalla nascita venne votata dai suoi genitori al servizio di Dio. Crebbe in un eremo, e poi (probabilmente a partire dal 1106) in un piccolo convento femminile di clausura sul Disibodenberg presso Bingen. Quando ebbe sedici anni, Ildegarda prese i voti perpetui, scegliendo cosi la vita monastica (circa 1115). Alla morte della sua insegnante, Giuditta di Sponheim, nel 1136 fu chiamata a succederle e divenne maestra (“magistra”). Per oltre trent’anni Ildegarda visse e operò nella solitudine del piccolo monastero. Da lì riuscì, nonostante le difficoltà, a fondare altri due monasteri: uno sul Rupertsberg (circa 1150) – monastero che durante la Guerra dei trent’anni fu quasi completamente distrutto dagli Svedesi (1632) – e l’altro a Eibingen (circa 1165) considerato ancora oggi il monastero che rappresenta – seppure non in modo diretto – la continuità ideale con santa Ildegarda. Nonostante le sofferenze e i dolori che caratterizzarono soprattutto l’ultima fase della sua vita, santa Ildegarda intraprese quattro viaggi (1158-1170) in numerose città della Renania e nel sud-ovest tedesco, dove, nei conventi dei monasteri, come anche nelle grandi piazze delle città, predicava contro la decadenza, soprattutto del clero. Dura era anche la critica rivolta al suo tempo, da lei definito «epoca effeminata» (tempus muliebre). Della lotta contro la setta dei catari parleremo dopo.
Già molto giovane, Ildegarda mostrò di avere la dote di una visione estremamente originale. «Queste cose – scrisse – non le ascolto con le orecchie del corpo e neppure nei pensieri del mio cuore, ma unicamente all’interno della mia anima, con gli occhi carnali aperti, per cui nelle visioni non subisco il venir meno dell’estasi: le vedo in stato di veglia, di giorno e di notte». Molto di ciò fa pensare ai profeti dell’Antico Testamento: «La luce che vedo non è legata a uno spazio. È molto più splendente di una nube compenetrata dal sole. Non posso misurarne l’altezza, la lunghezza, l’ampiezza; la definisco “ombra della luce vivente”. In questa luce talvolta, ma non spesso, vedo un’altra luce che chiamo “luce vivente”, ma non so dire quando e in che modo io la veda, però quando la vedo si allontanano da me tristezza e angoscia, e allora mi comporto come una semplice fanciulla e non più come una donna vecchia». Dopo aver superato i quarant’anni (1141), le visioni si materializzano in modo fragoroso e veemente. La silenziosa visionaria si trasforma così in profetessa religiosa. Nel suo intimo avverte sempre più forte qualcosa che è quasi come un ordine: «Parla e scrivi ciò che vedi e senti». San Bernardo di Chiaravalle, uno degli uomini più autorevoli della Chiesa del suo tempo, il suo “Signore senza corona”, conferma la sua dote profetica. E non solo: al sinodo di Treviri (1147/48) Papa Eugenio III legge dei passi dagli scritti di Ildegarda. Li aveva fatti esaminare da una commissione, e ora chiede a Ildegarda di condividere le sue visioni con tutto il mondo. Da lì nacque il suo primo grande scritto Conosci le vie (Scivias, 1141-1151).
La sapienza e la capacità espressiva di Ildegarda fanno di lei un enigma. Poco si sa della sua formazione accademica. Pur essendo molto giovane, conosceva già il testo della Regola di san Benedetto. Nella liturgia delle ore entrò in confidenza con i salmi e con le Sacre Scritture, e imparò a conoscere bene i padri della Chiesa. Le 390 lettere sono la testimonianza di una fitta corrispondenza con i grandi della sua epoca. Lei stessa, però, si è sempre reputata un’“indocta”, una “donna semplice”. Non si considerava affatto un’erudita. Sicuramente le ricerche svolte negli ultimi decenni hanno evidenziato che soprattutto le donne nei monasteri, e particolarmente quelle di origini nobili, come le appartenenti alle comunità di santa Ildegarda, avevano molto più accesso agli strumenti di formazione della cultura classica e contemporanea, di quanto non si sia pensato finora. Alla luce della sapienza di santa Ildegarda però, la sua auto-definizione come “indocta” non può che farci sorridere. Ildegarda, infatti, non conosce soltanto la teologia e la filosofia della sua epoca, ma è anche esperta di Antico Testamento, di scienze naturali e di medicina. Sa parlare della bellezza delle pietre preziose, è medico e badessa, compone inni e altre composizioni musicali. È autrice di uno studio fondamentale sull’etica, di una vasta opera sul mondo, ed elabora altresì una cosmologia con orientamento spirituale, contenente una dottrina sull’uomo e la sua salvezza.
Questo però non significa che la “prophetissa teutonica”, come fu già chiamata quando era ancora in vita, non fosse cosciente delle faccende del mondo e della Chiesa, e che li accettasse senza fare obiezioni. Ella scrive non solo ai papi Eugenio III, Anastasio IV, Adriano IV e Alessandro III, ma anche agli arcivescovi di Magonza, Treviri, Colonia e Salisburgo. In una missiva indirizzata all’imperatore Barbarossa, Ildegarda si scaglia duramente contro la politica papale dell’imperatore. Tra i suoi interlocutori spiccano imperatori e re, vescovi e abati, sacerdoti e laici.
Ella è la “tromba di Dio”, la “luce fiammeggiante nella casa di Dio”, la “confidente di Dio”. «Nessuna voce si eleva contro l’audacia di questo fare. Tutti sono commossi, entusiasti – oppure colpiti alla radice della loro peccaminosità, scossi al punto da trovare una nuova e santa energia vitale; i peccatori si pentono, i miscredenti diventano credenti, coloro che erano divisi si riabbracciano» (Maura Böckeler, Wisse die Wege). Ella viene apprezzata sempre di più, cosicché l’abate Ruperto di Königstal, dopo aver letto i suoi scritti, può affermare: «I professori più eruditi del Regno di Franconia non sapranno mai fare altrettanto. Loro, con un cuore arido e le guance turgide, si perdono in inutili diatribe dialettiche e sofisticazioni retoriche. Questa devota donna invece si limita a sottolineare l’unica cosa che conta, l’unica cosa necessaria. Ella attinge dalla propria pienezza interiore, e la riversa sul mondo». In sintesi Maura Böckeler scrive: «È così che si svolse la missione d’Ildegarda nella Chiesa del suo tempo. Alla fine ella non è altro che l’eco vivente della riforma di Gregorio VII, già monaco di Cluny; e questo eco irrompe da un cuore ardente e da un’anima toccata dallo Spirito. In tempi in cui l’amore si raffredda, lo Spirito di Dio riesce sempre a risvegliare uomini e donne, che come il vento di Pentecoste, soffiano il fuoco caduto dal cielo dentro di loro su tutta la terra».
Tanti aspetti della sua sapienza e spiritualità sono difficilmente spiegabili. Nonostante l’ufficio delle ore le avesse fatto conoscere i termini fondamentali e le parole chiave della lingua latina, il suo latino rimase comunque molto scarso. Nella sua “monaca preferita” e segretaria Richadis von Stade, nonché nei suoi segretari Volmar, poi Gottfried e Gilberto di Gembloux, Ildegarda trova dei collaboratori validi che si distinguono soprattutto per aver dato corpo alle sue visioni.
Per alcuni decenni, soprattutto dell’ultimo secolo, il rinnovato interesse per Ildegarda era fortemente concentrato sugli aspetti marginali della sua vita e del suo operato: ciò che interessava era la medicina naturale di santa Ildegarda e la sua applicazione diretta, l’esoterica, la sua affinità con il femminismo moderno, e, in parte, pure la magia. Ma nonostante tutte queste cose siano indubbiamente irradiazioni delle idee chiave e delle esperienze basilari della profetessa del Reno, senza un riferimento critico alle testimonianze e agli scritti fondamentali, non sono altro che deviazioni, che, in ultima analisi, non fanno che ostacolare l’accesso all’Ildegarda autentica. Per poter comprendere questo dobbiamo rifarci ai tre scritti che contengono le visioni di Ildegarda: la Scivias, Conosci le vie (1141-1151) già menzionata, il Liber Vitae Meritorum (1158-1163), il libro dei meriti della vita, nonché il Liber Divinorum Operum (1165-1174), il libro delle opere divine. Quest’ultimo libro con le visioni cosmologiche è considerato il capolavoro della sua mente creativa. Tra il 1150 e il 1160 presero corpo i suoi scritti sulle scienze naturali e sulla medicina; opere che rappresentano, allo stato attuale, una raccolta di esperienze popolari, eredità classica e tradizione cristiana. Già nel Duecento l’opera originaria non più esistente, il Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum, fu suddivisa in Physica e Causae et curae. A questo vanno aggiunte anche le 390 lettere di cui abbiamo già parlato.
Esistono anche degli scritti minori, come le spiegazioni della Regola di san Benedetto, dei Vangeli e del Credo, nonché delle risposte a pressanti questioni teologiche, vite di santi, ma soprattutto una complessa opera lirica-musicale (Ordo virtutum, inni, sequenze). Queste poesie, canti e canzoni sono spesso stati tradotti e, in parte, pubblicati con il titolo di “sinfonia”. L’Ensemble für mittelalterliche Musik di Colonia, Sequentia, ha inciso l’opera omnia di Ildegarda presso la Deutsche Harmonia Mundi (5 cd).
Ildegarda è ritenuta una delle figure più straordinarie della scienza umana europea. Fu anche definita la donna più intelligente del Medioevo. Di nessuna donna medievale ci sono state tramandate così tante testimonianze letterarie. A questo riguardo si può constatare un forte cambiamento nella valutazione dell’importanza di santa Ildegarda, per esempio in rapporto alla filosofia e alla storia della filosofia. Nelle meritorie opere meno recenti di E. Gilson, B. Geyer, M. de Wulf per esempio, santa Ildegarda, in questo contesto, non viene neanche menzionata. Significativa è la posizione che assume K. Flasch; mentre nella prima edizione del suo famoso libro Das philosophische Denken im Mittelalter (Il pensiero filosofico nel Medioevo) non la cita neppure, nella seconda tratta dettagliatamente di lei, anche se rimangono dei giudizi stereotipati. Nelle sintesi e nei libri ufficiali adottati per l’insegnamento, le viene data un' importanza considerevole, motivata da ragioni filosofiche. Seguendo questa logica, però, il pensiero di Ildegarda verrebbe ridotto a un “simbolismo” del XII secolo e sostenuto da una riflessione razionale promettente per il futuro.
In un tempo che ha scoperto l’importanza che l’immagine, la metafora, il simbolo e la narrativa hanno per la filosofia, ampliando così anche il senso del termine “ragione”, questa è una riduzione inaccettabile. E non rispecchia affatto la condizione dell’ermeneutica odierna.
Come abbiamo già visto, nel corso dei secoli l’apprezzamento e la ricezione della “prophetissa teutonica” hanno conosciuto alti e bassi. E se oggi abbiamo raggiunto una comprensione molto più dettagliata di santa Ildegarda, lo dobbiamo anche agli studi scientifici svolti in maniera così assidua nel corso del novecento. Per questo bisogna ringraziare non solo lo storico della medicina, Heinrich Schipperges di Heidelberg, al quale dobbiamo tante pubblicazioni, ma soprattutto l’abbazia di Eibingen per averci regalato tanti studi illuminanti, edizioni critiche e traduzioni. Mi limito a menzionare le religiose Maura Böckeler, Angela Carlevaris, Adelgundis Führkötter, Marianne Schrader, Walburga Storch, Cäcilia Bonn – e poi naturalmente suor Maura Zátonyi e le sue valide collaboratrici, le badesse suor Edeltraud Forster e suor Clementia Killewald. Un importante contributo è stato dato anche da numerosi ricercatori e ricercatrici nazionali e internazionali, come anche da tanti traduttori e traduttrici. Desidero ringraziare in modo particolare il padre gesuita Rainer Berndt, docente dell’Istituto Ugo di San Vittore a Francoforte/Sankt Georgen non solo per il congresso tenutosi nel 1997 e per il congresso che si svolgerà a febbraio-marzo del 2013, ma per molto altro ancora.
Se oggi esistono tante buone ragioni per concedere a santa Ildegarda l’onore di essere proclamata dottore della Chiesa, lo dobbiamo senz’altro anche a questi recenti studi. Ma questo onore comporta anche un onere. Infatti, non dobbiamo limitarci a guardare indietro con ammirazione ed elogio per la sua figura storica. E se adesso, grazie alla sua vita in santità, alla sua profonda conoscenza delle cose divine e alla sua vasta spiritualità, viene definita una donna esemplare, abbiamo il compito di tradurre il suo significato anche nel nostro presente. Questo, a mio parere, è il mandato più difficile che questa celebrazione ci assegna.
Gli sviluppi degli ultimi decenni, in cui la popolarità di santa Ildegarda è andata sempre crescendo, ci servono da monito: non dobbiamo fare l’errore di adattare santa Ildegarda a delle necessita odierne definite frettolosamente.
Abbiamo sperimentato a sufficienza come singoli fenomeni, quali la medicina di Ildegarda e molte pratiche esoteriche, spesso non sono rimasti fenomeni marginali tali da essere valorizzati nel loro significato limitato, ma sono stati posti essi stessi al centro dell’interesse. È di grande aiuto sapere che, negli ultimi decenni, abbiamo acquisito una più profonda comprensione della grande importanza dei tre scritti fondamentali contenenti le visioni, come anche delle illustrazioni. Così possiamo vedere che nel caso di santa Ildegarda è particolarmente difficile isolare i singoli dettagli – per quanto istruttivi possano essere – dall’insieme. Ma proprio perché il nesso universale tra tutte le cose è radicato nel nucleo teologico e spirituale, la trasposizione del loro significato nel nostro tempo non è compito facile. Oggi, nell’ambito della teologia siamo abituati a pensare e a parlare per categorie relativamente astratte e razionali. Naturalmente questa razionalità la troviamo anche in Ildegarda, seppure impregnata da una vicinanza interiore, un’affinità con la causa (“connaturalitas”). Qui emerge il filo agostiniano-platonico della comprensione della conoscenza umana: nell’incontro personale e nei rapporti di fede è particolarmente importante nutrire un certo affetto, una certa simpatia per una determinata cosa – e ancora di più per una determinata persona – se la si vuole comprendere veramente. È ciò che oggi chiamiamo empatia. Ildegarda lo chiamava amore.
Al centro del pensiero teologico e spirituale di santa Ildegarda c’è la creazione. La creazione, però, non è soltanto natura intesa nel senso moderno, poiché rimanda sempre al suo autore, Dio il Creatore, che, per il Suo amore incomparabile per l’esistenza creatrice, ha voluto porre l’uomo al centro della creazione. Questo è evidente soprattutto nella razionalità (“rationalitas”) dell’uomo, che lo rende capace di riconoscere Dio, e in Lui tutte le cose, di lodarLo e di soddisfare l’intenzione di Dio nel mondo. In questo modo, l’uomo viene onorato da Dio, e questi lo rende partecipe del Suo amore per il creato. Ma questo comporta anche il rischio che l’uomo possa fallire e finire con lo strumentalizzare la creazione. Ildegarda ci ha fornito un vero e proprio “lamento degli elementi”. Ma ciò non significa affermare che Dio tolga la grandezza della sua creazione all’uomo. L’uomo deve esplorare questo suo mondo in tutta serenità, anzi, lo deve compenetrare completamente. Deve realizzarsi al centro della creazione attingendo dal suo essere creato al cospetto di Dio. Ma non deve porre se stesso al centro del mondo. Tutta la creazione è orientata verso Dio. Non gira semplicemente attorno all’uomo. Questa visione dell’uomo ci mette in una posizione particolare, insolita. Ma non possiamo intenderla nel senso moderno antropocentrico che considera tutto subordinato agli scopi e alle esigenze dell’uomo. L’approccio antropologico invece stabilisce un rapporto allo stesso tempo complesso ed equilibrato tra Dio, l’uomo e il mondo.
Questo, però, ha notevoli conseguenze anche per la comprensione della realtà creata. Ildegarda non vede mai l’uomo e il mondo, il corpo e l’anima, la natura e la grazia, come fenomeni isolati. L’antropologia è fortemente legata alla cosmologia e, di conseguenza, anche all’ecologia. L’intera creazione traspare ripetutamente dal nesso vivo tra tutti i fenomeni. Per descrivere questo nesso intrinseco di tutto il creato, e soprattutto “l’armonia” con la quale le creature si relazionano l’una con l’altra fino a completarsi, Ildegarda usa spesso il termine “sinfonia”, soprattutto nelle sue poesie e nei suoi canti. «E cosi ogni elemento ha un suono proprio, un suono primordiale che proviene dall’ordinamento di Dio. Ma poi tutti questi suoni si fondono in un armonioso concerto di arpe e cetre». E questa sinfonia abbraccia tutto il mondo: «Dalle più piccole cose quotidiane fino all’infinità dei mondi stellari, e ora, al centro di tutto: l’uomo, colui che è il cuore del mondo. E forse la spiritualità ineguagliabile di questa visione del mondo, da interpretare sempre e soltanto a partire della storia della salvezza, sta proprio in questo: che tutto il corpo diventa pura luce e musica e che l’intero cosmo diventa suono e armonia». In questo contesto i colori hanno un ruolo fondamentale, soprattutto la “viriditas”, la verdeggiante energia vitale, una delle espressioni più care alla profetessa. E qui la dimensione fisica e la realtà dell’anima diventano una cosa sola. Si tratta della vita della creazione, ma anche del rinnovamento adoperato dallo Spirito Santo. A causa della violenza dell’uomo questa energia verdeggiante della creazione è andata indebolendosi; e così rischia di inaridirsi e necessita di constanti cure. Ma rimane comunque una forza che scaturisce dalla bontà di Dio che è in grado di rinnovare tutto. «Dalla mortalità non viene alcuna vita, e la vita consiste soltanto nel vivere. Nessun albero germoglia senza la forza verdeggiante, nessuna pietra fa a meno della verde umidità, nessuna creatura è priva di questa particolare forza, anzi, la stessa eternità vivente è permeata dalla forza verdeggiante». L’uomo deve essere pronto, ogni volta, a uscire fuori dalla limitatezza del suo “io” racchiuso in se stesso, e a farsi condurre al largo: farsi condurre cioè dalla siccità verso una forza verdeggiante che è anche una forza propria dello Spirito di Dio.
A questo punto bisognerebbe dimostrare come la creazione sia strettamente legata a Gesù Cristo. In fondo, la creazione tende all’incarnazione di Dio in Gesù Cristo. Soltanto partendo da Lui si avvererà tutto ciò che abbiamo detto sulla creazione. Ma questo richiede anche la convinzione, che la creazione di per sé è volatile, ma viene salvata dalla risurrezione di Gesù Cristo e degli uomini. Questo compimento è qualcosa che Ildegarda non perde mai di vista. «A colui che coltiva il campo del suo corpo con discrezione (“discrete”), l’avvicinarsi della fine non potrà nuocere: esso verrà accolto dalla sinfonia dello Spirito Santo (symphonia Spiritus Sancti) e ciò che lo aspetterà sarà una vita di letizia (vita laeta)». Anche qui abbiamo dunque una “sinfonia” dei misteri della fede strettamente collegati tra di loro. In questo contesto, santa Ildegarda usa spesso l’immagine del cerchio.
Da queste basi profonde emergono delle conseguenze di alto valore pratico ed etico. Santa Ildegarda non ha dubbi quando afferma che Dio ha creato il nostro mondo come un mondo buono. Ella non chiude gli occhi davanti al male e al peccato che portarono tanta distruzione e disarmonia nel creato. Perciò tutto dipende dalla conversione dell’uomo. Con questa teologia della creazione ottimista, però, Ildegarda lotta contro certe tendenze dell’influenza del neoplatonismo nella teologia contemporanea, e soprattutto contro tutte le tendenze dualiste-manicheiste che vogliono abbassare l’importanza della materia, sminuendola. Questo emerge forse in modo più chiaro nell’atteggiamento positivo che Ildegarda ebbe nei confronti del corpo e nel suo approccio sorprendentemente disinvolto alla sessualità umana. E questo si ripercuote anche su come Ildegarda vede il rapporto tra uomo e donna. È vero che considera tale rapporto in modo conservatore, nel senso della subordinazione della donna all’uomo, ma all’interno di questa compagine permette comunque forti accenti correttivi. In questo modo, per esempio, Ildegarda ritiene – cosa tutt’altro che scontata – che non solo l’uomo sia fatto a immagine e somiglianza di Dio, ma anche la donna. E questa valutazione include anche il corpo umano. Verginità e maternità non sono più in contrapposizione, ma vengono rappresentate nella loro relazione reciproca. Incurante dell’influsso di Agostino, il matrimonio viene visto in modo positivo. Per Ildegarda la donna non è semplicemente debole, ma essa è “mollioris roboris”, cioè “di una forza più mite”; e allo stesso modo la forza maschile deve essere attenuata con “mansuetudo”, cioè con la mansuetudine.
Questa è anche la ragione per la quale santa Ildegarda, soprattutto nei suoi anni maturi, lotta così decisamente contro i cosiddetti catari, un movimento di tipo settario che, pur avendo radici nella motivazione ascetica, alla fine giunse a una valutazione del tutto negativa del corpo creato. I viaggi di cui abbiamo già parlato, che portarono Ildegarda lungo le rive del Reno e nel sud-ovest della Germania, sono motivati dal rifiuto di questo movimento a impronta dualistica. I catari si distinguono per un’aspra critica del matrimonio e dello stato della donna. È molto probabile che gran parte delle donne di questo movimento abbiano subito violenze sessuali e domestiche: «Il matrimonio non ha alcun valore»; «Le donne sono demoni». Forte della sua spiritualità e teologia, santa Ildegarda divenne un'instancabile combattente contro questo movimento eretico; e nella sua difesa del corpo umano e della realtà creata, è proprio il suo stato di donna religiosa che le conferisce una credibilità particolare.
Sono certo che oggi questo significato che Ildegarda ha per noi, possa essere compreso e maggiormente approfondito sotto tanti aspetti. Raramente, però, questo approccio può essere diretto. Nonostante infatti, la sua attualità, alcuni pensieri d’Ildegarda ci risultano ancora inaccessibili e necessitano di un'interpretazione accurata. Solo così sarà dato un contributo che costituisce un autentico arricchimento. Ora, dopo tutto il minuzioso lavoro svolto a livello storico ed editoriale, è questo il compito al quale dovremmo dedicarci. E qui, in particolar modo, è chiamata in causa la teologia sistematica. Ma dovremo munirci di santa pazienza.
Possiamo forse concludere con ciò che il cronista ci racconta degli ultimi anni di vita di santa Ildegarda: «Nel suo seno brama un amore così buono, che non negò a nessuno il suo abbraccio. Ma siccome “la fornace prova gli oggetti del vasaio” (Siracide, 27, 5) e “la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Corinzi, 12, 9), fin dalla sua infanzia fu colpita da frequenti, quasi continue malattie dolorose, cosicché solo raramente si servì dei suoi piedi per camminare, e siccome l’intera costituzione della sua carne era instabile, la sua vita era come l’immagine di una morte preziosa. Ma ciò che mancava di forza all’essere esteriore, attraverso lo spirito della sapienza e della forza, venne aggiunto all’essere interiore, e mentre il suo corpo decadeva, si fece sentire il meraviglioso soffio della fiamma del suo spirito».
La conclusione di questa “Vita” sottolinea come Ildegarda, dopo «aver prestato fedele servizio al Signore in tante dure battaglie [si trovò afflitta dal tedio della vita] e pregava ogni giorno di essere “sciolta dal corpo per essere con Cristo” (Filippesi, 1, 23). Dio esaudì questo suo desiderio e, proprio come ella aveva pregato, le rivela, nello spirito profetico, la sua fine, che ella annuncia anche alle sue sorelle. E così, dopo aver lottato per qualche tempo contro la sua malattia, il 17 settembre, nell’ottantaduesimo anno della sua vita, fa felice ritorno nella casa del suo Sposo celeste».
Sarebbe doveroso ringraziare molte persone. Il ringraziamento più grande, però, lo dobbiamo a Papa Benedetto XVI per il coraggio che ha dimostrato nel proclamare santa Ildegarda di Bingen dottore della Chiesa. Forse il suo pensiero traspare meglio da un breve indirizzo ai partecipanti a un simposio internazionale su Ildegarda, al quale fu invitato nel 1994, e in cui disse: «Avrei volentieri accettato l’invito al vostro convegno su Ildegarda di Bingen, in quanto questa figura mi ha affascinato fin dalla mia gioventù. Il mio interesse per lei è nato all’inizio degli anni quaranta dalla lettura di un romanzo di Hünermann, allora molto popolare: Das lebendige Licht (La luce vivente). Questo primo incontro mi incoraggiò poi a inseguire la fonte di questa luce più da vicino, anche se purtroppo non ho mai trovato il tempo di dedicarmi a studi veri e propri su Ildegarda. Oggi Ildegarda si presenta a noi in tutta la sua universalità audace. Ci sentiamo attratti dall’affettuosa attenzione che ella presta alle forze risanatrici della creazione, e dalle sue molteplici doti artistiche, ma soprattutto dalla sua intensa predicazione della fede; la sentiamo dunque vicina come donna che ha amato Cristo nella Sua Chiesa senza alcuna ingenuità e senza timore. Anzi, proprio grazie al suo contatto con il mistero di Dio fu in grado di dire la parola giusta alla sua epoca, in tutta libertà e senza alcun timore. Nella crisi dell’uomo d’oggi che stiamo affrontando, Ildegarda ha ancora molte cose importanti da dirci. In questo senso vi auguro che le vostre conversazioni siano feconde, affinché il messaggio di Ildegarda nella sua immutata attualità possa essere ascoltato e compreso di nuovo».

Karl Lehmann, Cardinale vescovo di Magonza, 7 ottobre 2012

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