Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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sabato, ottobre 27, 2012

Festival di Spoleto 1960: chi è Hans Werner Henze...

Ingeborg Bachmann (1926-1973)
Hans Werner Henze (1926-2012)
Al Festival di Spoleto.
Chi è Hans Werner Henze autore del "Principe di Homburg".
Nostro servizio particolare.
Spoleto, mercoledì sera.

Di Hans Werner Henze, di cui la più recente opera teatrale, II Principe di Homburg, la prima volta rappresentata negli ultimi dello scorso maggio ad Amburgo, viene ora inscenata nel Teatro Nuovo a Spoleto, si può parlare in giornali italiani, soprattutto a Torino, come d'uno quasi sconosciuto. Solamente qualche istituzione normale o festivalesca ha finora presentato alcune delle sue numerose produzioni, sinfoniche, camerali, teatrali, coreografiche, non mai replicate, per altro, per la sorte comune a tante musiche d'oggi, siano brutte o belle.
Si può dunque tratteggiare la sua vita. Nato a Gütersloh, in Westfalia, compirà il 1° luglio prossimo il trentaquattresimo anno. Studiò musica nella Scuola statale di Braunschweig, poi nell'Istituto chiesastico di Heidelberg, infine seguì i corsi privati del Fortner e a Wiesbaden del Leibowitz, entrambi propagandisti delle teorie schonberghiane. Diresse balletti a Costanza e a Wiesbaden, 1951-'52. Venne in Italia, prese stanza, 1952, a Ischia e a Napoli. Ma all'isola, troppo affollata di turisti, preferisce ormai la città.
Del pubblico di questa, direttamente osservato, oltre che nelle adunanze concertistiche, in quelle nel San Carlo, ha particolare stima. Interrogato da giornalisti, lo ha giudicato il più aperto e progressivo nell'accoglimento delle musiche, per cosi dire, non tradizionali. I frequentatori della Scala, dice, sembrano in massima aristocratici, conservatori. Quelli del San Carlo mondani e distratti nella prima delle tre solite rappresentazioni, sono attenti durante la seconda e la terza, quando i biglietti costano meno, e pronti a sentire cose nuove, e soddisfarsene.
Come aneddoto nelle avventure teatrali d'eccezione, si ricorda il clamore alla prima recita nella Stadtische Oper di Berlino, '55, del suo Re Cervo, (la favola del Gozzi), che, pur amputato di circa un terzo delle pagine, durò tre ore e mezzo: 46 chiamate e 25 minuti di gazzarra degli spettatori favorevoli e dei contrari; i quali fra l'altro utopisticamente gridavano: «Vogliamo il Lohengrin!». Fredda, ma pacata, fu l'accoglienza, 1954, dei napoletani, durissima quella dei critici, all'opera Boulevard Solitude, che due anni prima era apparsa ad Hannover. Neanche II principe di Homburg ha avuto unanime il successo ad Amburgo.
Il lungo e compiaciuto soggiorno dello Henze nel nostro Mezzogiorno ha influito, asseriscono i suoi intimi, ed egli non contesta, sulla sua musicalità, insinuandovi un che di melodioso, di vocalistico, quale non si riscontra nelle pagine anteriori, interamente soggetto ai problemi tecnici, alle escogitazioni dodecafoniche. Ascoltati nel Festival a Venezia, quei Fünf neapolitanische Lieder non mi parvero in verità riflettere né punto né poco alcunché di meridionale. Ma di ciò non è questione. I suoi più vicini osservatori sanno che bisogna mirare soltanto alla tecnica, agli stilemi, e s'affannano a controllare in una o in un'altra opera dove sia più o meno imponente l'uso del sistema dodecafonico. Tutto lì.
«Perché ho composto II Principe di Homburg». E' questo il titolo d'una breve dichiarazione dello Henze or ora pubblicata dalla Neue Zeitschrift für Musik, Egli cita la sanzione emanata il 1° agosto 1828 dal re di Prussia: «La Maestà del Re ha ordinato che la commedia Prinz Friedrich von Hessen-Homburg, rappresentata iersera, non sia mai più replicata». E commenta: era questo un altro atto maligno, odioso, di persecuzione, contro il poeta prussiano Heinrich von Kleist, che, avversato dalla sorte e incline agli incubi, fremente e impotente, s'era ucciso nel 1811, a trentaquattro anni, gettandosi insieme con l'amica Henriette Vogel nel Wannsee, uno dei laghi della regione di Potsdam.
In queste vicende e nell'ambito stesso del Principe di Homburg, in cinque atti, lo Henze intese parecchie sollecitazioni alla stesura di un'opera musicale, che, scartato il risalto di preconcetti militareschi e politici, frequente nelle interpretazioni e rappresentazioni del testo letterario, avesse invece dato evidenza alla glorificazione d'un sognatore, d'un visionario, anzi d'un sonnambulo, qual è il protagonista, valoroso, prode ufficiale di cavalleria, e insofferente di prescrizioni severe, perentorie, e non tutte opportune e utili.
In quanto alla composizione, lo Henze, scrivendone nelle riviste Neue Zeitschrift für Musik e Melos, informa che s'è proposto di adeguare ritmicamente la metrica dei versi kleistiani, ed illuminare intanto e rinforzare la parola con le note. Continuando nella tendenza accennata nelle più recenti sue composizioni, ha sviluppato una più chiara, ma non meno tesa, polifonia vocale. Alla stesura operistica è giovata, aggiunge, la forma scenica e dialogica in cui la librettista Ingeborg Bachmann ha ridotto il testo, e cioè l'occasione di arie ed «insieme», collegati da recitativi.
«Forte e decisa più che nelle precedenti composizioni mie, è risultata la costruzione dell'opera in sé, attuando la mia concezione di teatro e di musica, di musica e linguaggio, un'aspirazione di unità; questo è un problema nell'odierna condizione dell'opera teatrale. La risoluzione cercata nel campo della riassunzione di fenomeni sonori formali e verbali è in certo modo avvenuta nel Principe di Homburg, insieme con l'aspirazione alla maggior libertà, che non è improvvisazione, ma prontezza, indipendenza, dai predisposti ordinamenti».
La conclusione di queste dichiarazioni riguarda l'essenza dell'arte: «La musica non è la musicologia, e la logica d'un'opera non consiste nell'attuazione di regole, nel montaggio, nel calcolo. La musica è analoga alle esperienze del protagonista del Principe di Homburg: stato di sogno, di sonnambulismo, non ricerca da laboratorio: i fatti appaiono in una sognante realtà, ma son fatti, e devono esser nominati con le parole che li indicano».
Andiamo a sentire.

Andrea Della Corte ("Stampa Sera", 22/23 giugno 1960)

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