Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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sabato, giugno 23, 2012

The Who: "Quadrophenia"

"Quadrophenia" - The Who (19736)
Aspra­men­te cri­ti­ca­to e snob­ba­to dai fans di lunga data, ido­la­tra­to da quel­li di nuova ge­ne­ra­zio­ne, Quadrophenia fu, forse, l’al­bum più “Who” di qual­sia­si altro la­vo­ro degli Who. Più com­ples­so di quel­lo che po­tes­se ap­pa­ri­re ad una prima e su­per­fi­cia­le chia­ve di let­tu­ra, la sua ge­ne­si datò 1972. In ori­gi­ne era in­ten­to della band e del suo prin­ci­pa­le idea­to­re Pete To­wn­shend dar vita ad un’o­pe­ra rock im­per­nia­ta sui quat­tro ar­ti­sti stes­si, con­si­de­ra­to che lo straor­di­na­rio “Tommy” che l’a­ve­va prece­du­ta, per forza di cose ve­ni­va iden­ti­fi­ca­to col solo Roger Dal­trey. Tut­ta­via, l’i­dea di un personaggio cen­tra­le di fan­ta­sia che in­car­nas­se non sol­tan­to le per­so­na­li­tà dei sin­go­li Who ma anche le fru­stra­zio­ni e le il­lu­sio­ni del­l’a­do­le­scen­te in cerca di sé stes­so, co­min­ciò a farsi stra­da nella mente di To­wn­shend.
Ed il me­mo­ra­bi­le ed ef­fi­ca­ce ca­lem­bour fra Qua­dro­phe­nia e schi­zo­fre­nia, trovò im­me­dia­ta­men­te ragion d’es­se­re nel tor­men­ta­to pro­ta­go­ni­sta Jimmy Coo­per: gio­va­ne mod fre­sco del 1965 ( con un salto di tempo in­die­tro di 7 anni, epoca in cui gli Who stes­si ave­va­no ca­val­ca­to l’on­da­ta Mod) che nel Mo­der­ni­smo cerca ri­spo­ste e sal­vez­za dal male di vi­ve­re del­l’a­do­le­scen­za. L’im­pat­to e l’ap­proc­cio emo­ti­vo di Quadrophenia di­sta­va anni luce da quel­lo di Tommy: men­tre l’in­no­cen­te e an­ge­li­co Tommy, ag­gre­di­to e di­la­nia­to emo­zio­nal­men­te e psi­co­lo­gi­ca­men­te da un ri­but­tan­te mondo ester­no (la sua fa­mi­glia in pri­mis), nel suo tor­tuo­so cam­mi­no verso la luce avreb­be con­qui­sta­to e de­te­nu­to un’incrol­la­bi­le forza e pace in­te­rio­re tale da il­lu­mi­na­re quan­ti in­tor­no a lui, il tra­va­glio di Jimmy non por­te­rà solo sé stes­so alla ro­vi­na, ma tra­vol­ge­rà anche i suoi rap­por­ti so­cia­li. Tommy rag­giun­ge, di sof­fe­ren­za in sof­fe­ren­za, di so­pru­so in so­pru­so, la con­sa­pe­vo­lez­za di sé e del mondo este­rio­re, men­tre Jimmy fino alla fine com­bat­te­rà con­tro i suoi de­mo­ni.
Lungi dal­l’es­se­re un’o­pe­ra gio­va­nil­sti­ca, Quadrophenia era un ri­chia­mo di To­wn­shend alla ma­tu­ri­tà, un ten­ta­ti­vo di in­dur­re i fans (e gli altri com­po­nen­ti del grup­po) a fare i conti con la cre­sci­ta e il cambia­men­to degli Who (forse, av­ve­nu­to in mag­gior mi­su­ra sol­tan­to in sé stes­so), pren­den­do atto che gli anni ’60 erano fi­ni­ti no­no­stan­te si pre­ten­des­se an­co­ra di rie­su­mar­li e tra­sci­nar­li instancabilmen­te; mes­sag­gio, que­sto,che l’au­dien­ce di al­lo­ra cer­ta­men­te non captò, con­tri­buen­do ad ac­cor­cia­re le di­stan­ze fra le fru­stra­zio­ni del fit­ti­zio mod Jimmy Coo­per e quel­le del suo crea­to­re Pete Towshend, in­nan­zi a co­lo­ro che vo­le­va­no im­pri­gio­nar­lo nella ra­gna­te­la do­ra­ta delle glo­rie del passato, (gli altri tre Who com­pre­si), e che solo l’ir­re­quie­to chi­tar­ri­sta pa­re­va vo­ler­si la­sciar die­tro defi­ni­ti­va­men­te.
E Quadrophenia era una sfida: sfida verso i fans, sfida verso il grup­po e sfida verso l’im­pos­si­bi­li­tà di per­pe­tra­re al­l’in­fi­ni­to l’il­lu­sio­ne di un’e­ter­na gio­vi­nez­za. Sarà pro­prio To­wn­shend, at­tra­ver­so l’animo tor­men­ta­to di Jimmy a lan­cia­re la sua pro­vo­ca­zio­ne: af­fron­ta­re la ma­tu­ri­tà che la vita im­po­ne o sui­ci­dar­si; e quan­do la pre­gia­ta Vespa Gs, sim­bo­lo del mo­der­ni­smo e di una sfron­ta­ta gio­vi­nez­za pre­ci­pi­te­rà dalla sco­glie­ra senza il suo “ca­va­lie­re” in parka, sarà chia­ro che l’u­ni­ca de­ci­sio­ne possibile e sen­sa­ta è stata presa. Con­ce­pi­ta come la sound-track per un film im­ma­gi­na­rio (senza la mi­ni­ma idea della sua rea­liz­za­zio­ne po­stu­ma), sia in stu­dio che live, l’ef­fet­to so­no­ro do­ve­va es­se­re pa­ri­men­ti “qua­dro­fe­ni­co”, anzi, “qua­dro­fo­ni­co” a voler es­se­re pre­ci­si.
Nel sug­ge­sti­vo brano d’a­per­tu­ra “I am the sea” che in­tro­du­ce e rias­su­me in un li­ser­gi­co ri­ver­be­ro bagna­to dal mare i temi sa­lien­ti della sto­ria, le onde sem­bra­no av­vol­ge­re e ri­suc­chia­re l’a­scol­ta­to­re(ef­fet­to ot­te­nu­to du­ran­te i con­cer­ti po­si­zio­nan­do casse tutto in­tor­no l’a­rea), pre­pa­ran­do­lo al manifestar­si della qua­dro­fe­nia del pro­ta­go­ni­sta; av­vi­sa­glie per­ce­pi­te fre­ne­ti­ca­men­te e rab­bio­sa­men­te at­tra­ver­so po­ten­ti ar­ran­gia­men­ti e vo­cals graf­fian­ti nel se­guen­te “The real me”. Jimmy si perde nel suo pro­gres­si­vo estra­nia­men­to, sen­ten­do l’a­lie­na­zio­ne cre­sce­re e non ot­te­nen­do da nes­su­no ri­spo­ste sod­di­sfa­cen­ti, né dallo psi­chia­tra, né dalla madre, né dal prete. E a se­gui­to di una lite do­me­sti­ca sfocia­ta dopo un mor­bi­do in­ter­lu­dio di pia­no­for­te e chi­tar­ra acu­sti­ca ( “Cut my hair”), pre­ci­pi­tan­do an­co­ra di più nel­l’in­sta­bi­li­tà emo­ti­va, si do­man­da se il Mo­der­ni­smo non possa es­se­re la giu­sta soluzio­ne ai suoi tur­ba­men­ti.
The punk and the go­d­fa­ther”, ener­ge­ti­ca di­chi­ra­zio­ne di ri­vol­ta ado­le­scen­zia­le con­tro la fin­zio­ne sce­ni­ca delle rock’n’roll stars: è Jimmy che in cerca di ri­spo­ste nei suoi idoli mod, si reca al con­cer­to della sua band pre­fe­ri­ta (gli Who na­tu­ral­men­te), ma ne ri­ma­ne de­lu­so dopo un in­con­tro fu­ga­ce nel back­sta­ge. Non c’è nulla die­tro al rock’n’roll, le sue stel­le sono mere bugie e in fondo, nean­che con i suoi si­mi­li mods ha molto da dirsi; sono eroi a cui ispi­rar­si che egli cerca, qual­cu­no o qual­co­sa in grado di sod­di­sfa­re la sua brama di cer­tez­ze, di que­stio­ni in­so­lu­te. Con­sa­pe­vo­le della sua su­pe­rio­ri­tà emo­ti­va, l’es­se­re “the face”, il mod per­fet­to è l’il­lu­sio­ne di poter con­ta­re qual­co­sa e di im­por­si.
Un ap­pa­ren­te se­re­ni­tà ed una so­bria ma­lin­co­nia è quel­la che un ispi­ra­to Roger Dal­trey accompagnato da ac­cor­di li­ri­ci di piano e una chi­tar­ra quasi poe­ti­ca, in­to­na, can­tan­do la scon­fit­ta del gio­va­ne Jimmy, la bru­cian­te con­sa­pe­vo­lez­za di es­se­re un per­den­te: ma no­no­stan­te tutto, sé stes­so è ciò che gli ri­ma­ne (“I’m one”); è un at­ti­mo ed in un cre­scen­do di pa­thos, l’es­se­re il solo ed im­por­lo rab­bio­sa­men­te at­tra­ver­so uno sma­glian­te e ru­vi­do Keith Moon colma di con­trap­po­si­zio­ni emo­zio­na­li il brano. Come di­ven­ta­re il mi­glio­re, il “top of the mods”, se non fi­nan­zian­do­si per la pro­pria immagi­ne? Il pro­ta­go­ni­sta la­scia la scuo­la im­pie­gan­do­si come spaz­zi­no (nel film,in­ve­ce, sarà un porta­bu­ste d’uf­fi­cio), la­vo­ro che lo de­pri­me­rà ed esa­spe­re­rà ul­te­rior­men­te (“The dirty jobs”, “Helpless dan­cer”, “Is it my head?”); pes­si­mi­smo e scon­for­to che di­la­ghe­ran­no in uno dei pas­sag­gi più belli e com­mo­ven­ti del­l’al­bum “I had enou­gh”e “Love reign o’er me” alla vista del­l’am­bi­ta e desidera­ta Ste­pha­nie con il suo mi­glio­re amico.
Le tra­vol­gen­ti drums di Moon e l’im­pec­ca­bi­le, ir­re­fre­na­bi­le se­zio­ne rit­mi­ca Ent­wi­stle-To­wn­shend coa­diu­ve­ran­no un Dal­trey in­ve­le­ni­to in un’i­nar­re­sta­bi­le presa di co­scien­za. Jimmy Coo­per ne ha abba­stan­za di ciò che è stata la sua esi­sten­za (feste, droga, sogni e ado­le­scen­za ) ma so­prat­tut­to, ne ha ab­ba­stan­za di vi­ve­re. La dram­ma­ti­ca “I had enou­gh” è una resa dei conti che s’in­ter­se­ca e si completa con la toc­can­te “Love reign o’er me”, che in un di­spe­ra­to grido di chi me­di­ta il sui­ci­dio si tron­ca d’im­porv­vi­so. Ma alle 5,15 (“ 5,15” ) il qua­dro­fe­ni­co mod è pron­to nel suo abito mi­glio­re, parka, droga e gin, a sal­ta­re , sopra ac­cen­ti in bi­li­co fra soul, funky e schiet­to rock, sul treno che lo con­dur­rà a Brighton: in uno stato men­ta­le al­te­ra­to e sur­rea­le, ri­cor­da i bei tempi an­da­ti, dagli scon­tri coi rockers che pro­prie su quel­le spiag­ge av­ve­ni­va­no, al­l’a­mi­ci­zia con gli altri mods, fino alla sua ex ragaz­za.
Ma lì, a Brighton, ora c’è solo lui a far ri­vi­ve­re le im­ma­gi­ni e le il­lu­sio­ni del pas­sa­to che si accavallano nel suo cer­vel­lo stra­vol­to; l’in­vi­dia­to e imi­ta­to “ace face” re di tutte le feste (nel film, ruolo di Sting) non è che un fat­to­ri­no di un hotel ("Bell boy”, qui in­ter­pre­ta­to su­per­ba­men­te da uno sgua­ia­to Keith Moon), le ra­gaz­ze in­con­tra­te solo delle scioc­che. Le per­so­na­li­tà mul­ti-sfac­cet­ta­te di Jimmy, ov­ve­ro l’es­sen­za stes­sa della qua­dro­fe­nia, per un istan­te si riu­ni­sco­no in un unico mo­men­to di ra­zio­ci­nio (“Is it me for a mo­ment?”) de­fla­gran­te nella fi­na­le crisi di rab­bia che lo spin­ge­rà a ru­ba­re una barca (nel film si trat­ta della Vespa di Sting) e sci­vo­la­re in de­li­quio verso le ca­sca­te; è un at­ti­mo e prima di sfra­cel­lar­si si ag­grap­pa alle rocce, la­scian­do pre­ci­pi­ta­re la sola barca.
Jimmy ne esce tra­sfor­ma­to sen­si­bil­men­te; pu­ri­fi­ca­to, ab­brac­cia la piog­gia che scen­de, ri­tro­van­do final­men­te sé stes­so e pron­to a vi­vi­fi­car­si nel­l’a­mo­re, l’u­ni­ca cosa che dia ve­ra­men­te un senso alla vita: ed il ma­gni­fi­co tema di “Love reign o’er me” torna a ri­pe­ter­si, in­di­spen­sa­bi­le re­pri­se che chiarifi­ca il senso del­l’o­pe­ra. At­tra­ver­so il do­lo­re, Jimmy ha ac­qui­sta­to un grado mag­gio­re di consape­vo­lez­za e ma­tu­ri­tà ed in que­sto sta la sua vit­to­ria. Quadrophenia è dun­que un rac­con­to uni­ver­sa­le e poco im­por­ta la sua am­bien­ta­zio­ne;che siano mods del ’65 è ri­le­van­te solo ai fini di un concept album ma non nel suo in­ten­to e nella sua mo­ra­le.
La pu­ri­fi­ca­zio­ne e la presa di co­scien­za at­tra­ver­so le sof­fe­ren­ze, nel ri­pi­do cam­mi­no vero la luce e la sag­gez­za non ne­ces­si­ta di eti­chet­te, è un per­cor­so (quasi) ob­bli­ga­to per tutti e Jimmy Coo­per ne è il te­sti­mo­ne di una pa­ra­bo­la mu­si­ca­le, per­ché in fin dei conti, la sua qua­dro­fe­nia, è un trat­to caratteristico del ge­ne­re umano.

di Brionia Meriggi (www.storiadellamusica.it)

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