Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, giugno 02, 2012

Philip Glass ed il Concerto per violino

Philip Glass
Philip Glass, rappresentante di punta, insieme a Terry Riley, Steve Reich, La Monte Young, John Adams, del cosiddetto movimento minimalista sorto negli Stati Uniti all’inizio degli anni Sessanta, affronta nel corso della sua lunga carriera diversi generi musicali, con una particolare propensione per la musica applicata ad altri territori testuali o narrativi o scenici. Va aggiunto che, dopo aver preso le mosse, con ruolo preminente, dal versante più spiccatamente permutativo e formalistico del linguaggio minimale, via via Glass si allarga, in particolare dagli anni Ottanta, a considerare atteggiamenti meno rigorosi, di più facile fruizione, cioè sempre meno riferibili ai paradigmi normativi ed estetici del minimalismo più autentico. Vi si ritrovano sì i dispositivi iterativi e ripetitivi, o le minime modificazioni di minimi pattern ritmico-melodici, come è alla base del minimalismo, ma al tempo stesso si riscontra una sensibile attenzione per le potenzialità espressive e comunicative della musica tonale, oltre che una evidente attrazione per le manifestazioni musicali delle culture extra-occidentali. Così, le sue progettazioni musicali assumono da un certo punto in poi atteggiamenti più flessibili, disponibili ad accogliere, aggiornandole, le vie della tradizione sinfonica e strumentale americana. Tra anni Settanta e Ottanta in particolare, Glass esplora in varie occasioni gli ambiti della musica applicata alla scena e della musica associata alle immagini, dunque musica per il teatro, per il balletto, per varie performance, e musica cinematografica. Nascono così tra anni Settanta e Ottanta lavori teatrali importanti come la trilogia Einstein on the beach (1975, Satyagraha (1980), Akhanten (1984), o ancora i diversi lavori su testi di Samuel Beckett, come The Last Ones (1975), Endgame (1984), Company (1984). E poi soprattutto, per la notorietà anche presso il grande pubblico, le realizzazioni cinematografiche, su tutte la celebre trilogia Qatsi in collaborazione con il regista Godfrey Reggio, iniziata con Koiaanysqatsi (1983) e Powaqqatsi (1988), e completata nel 2002 con Naqoyqatsi.
In questo quadro di sviluppo estetico e di produzione compositiva, a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, Glass rivolge a un certo punto la propria attenzione verso forme più tradizionali di musica da concerto. È in questo scorcio di decennio, nel 1987, che prende forma il Concerto per violino e orchestra, un'opera paradigmatica del nuovo corso intrapreso dal musicista statunitense. Emerge, nei tre movimenti di questo lavoro, una particolare propensione a riconcepire antiche forme del passato come la Ciaccona, o a ricollegarsi con le matrici linguistiche preclassiche, in particolare barocche della tradizione colta occidentale, senza tuttavia perdere la specifica, caratteristica identità linguistica maturata da Glass nel solco del minimalismo. Si percepisce qui, come in altri lavori strumentali coevi, una nuova sensibilità poetica e un’inedita vena lirica. Ma benché questo Concerto segni l’avvio in qualche modo di una nuova stagione segnata dalla maggiore attenzione per le forme strumentali non finalizzate alla scena o alla rappresentazione, un filo lo collega saldamente alla precedente stagione performativa. Infatti, questo Concerto che potremmo definire neo-barocco, affronta la relazione interpersonale tra solista e orchestra secondo le stesse modalità di interplay viste nel rapporto suono-immagine: non di commento si tratta lì, infatti, bensì di contrappunto vicendevolmente rispettoso tra ciò che si sente e ciò che si vede. Il Concerto, con la sua evidente impronta stilistica, rimarca questo principio di relazione tra una figura e uno sfondo che dialetticamente procedono nel disegnare il tempo secondo le particolari disposizioni ritmiche e metriche stabilite da Philip Glass.

"Quando parlo di minimalismo, più dettagliatamente mi riferisco ad una strategia di lavoro, ad una tecnica di lavoro, non mi riferisco ad uno stile, o ad un linguaggio armonico, che non sono poi così importanti, perché io posso cambiare. Ecco perché penso assolutamente di aver scritto l’ultimo pezzo minimale nel ‘74. La funzione del compositore deve essere molto diretta. Questa è la lezione che ho appreso da Cage: questo è il mio modello e questo è il modello che offro io alle giovani generazioni, che cerco sempre di incoraggiare. Tornando al quesito “Per chi scriviamo la musica?” o “Chi è il pubblico?” sono domande importanti, che dobbiamo sempre porci. Così come: “In che modo il pubblico riscontra la qualitàdi quello che facciamo?”. Oggi c’è un forte movimento di giovani compositori, le cui inclinazioni sono molto diverse da quelle della mia generazione. Essi non hanno lo stesso conflitto ideologico che toccò a noi, non devono combattere per i valori del linguaggio. Quando noi eravamo giovani dovevamo fronteggiare la forte chiusura mentale dell’ambiente accademico allora dominante. I giovani compositori non hanno questo genere di problema, ma ne hanno un altro, che è quello di trovare da soli un proprio linguaggio, un linguaggio autentico." (Philip Glass)
 
Note del programma di Sala del Concerto tenuto in data 7/12/2012 presso il Teatro Municipale "Romolo Valli" di Reggio Emilia

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