Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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venerdì, febbraio 03, 2012

Marco Rapetti: l'Opera pianistica di Lyadov

Nonostante Ljadov non abbia mai portato a compimento gli studi pianistici al conservatorio (a un certo punto abbandonò anche quelli violinistici), egli riuscì comunque a sviluppare un notevole livello di abilità pianistica. La sua scrittura così idiomatica per il pianoforte è una riprova di quanto padroneggiasse lo strumento, da lui suonato spesso durante le riunioni del gruppo di Balakirev, sia da solo sia a quattro mani con altri membri della Mogučaja Kučka.
L'unico appunto rivoltogli da Rimskij si riferisce alla sua tendenza a suonare troppo piano e in modo introverso. Con il tempo, Ljadov si dimostrò sempre più timido e riluttante a esibirsi di fronte ad altri, tranne quando veniva colto da imprevedibili momenti di irrefrenabile ispirazione (simili, in qualche maniera, agli attacchi di logorrea che interrompevano all’improvviso i suoi prolungati silenzi). Non interessato a perseguire una carriera come esecutore, apparve pubblicamente soltanto nel ruolo di direttore d'orchestra, soprattutto nella stagione della Società Imperiale di Musica Russa e nei concerti sinfonici sponsorizzati da Beljaev (dove diresse, tra l'altro, la prima esecuzione delle Sinfonie nn.1 e 2 di Scriabin).
Come nel caso di Scriabin, la parte più cospicua della sua opera si compone di musica pianistica, fermamente radicata nella tanto ammirata tradizione romantica europea. Ljadov, tuttavia, era poco attratto dalla forma-sonata e non scrisse mai pezzi di lunga durata. Anche le due più imponenti composizioni per pianoforte non sono altro che insiemi di brevi variazioni abilmente giustapposte: l'op.35 (sul tema di una romanza italianeggiante, Nuit vénitienne, composta da Glinka nel 1832) e l'op.51 (su un tema popolare polacco). Nei lavori giovanili, come sottolinea il compositore e musicologo Guy Sacre, "Schumann è il modello onnipresente e tirannico, e non molto spazio rimane all'imitatore per incontrare sé stesso".
Nella prima opera pianistica, lo scintillante polittico Birjul'ki (termine che indica il gioco cinese degli stecchetti, detto Shangai), sono evidenti gli echi di Papillons e di Carnaval (pezzo, quest’ultimo, che più tardi Lyadov orchestrerà insieme ad altri membri del circolo di Beljaev).
Riferimenti ad altri lavori schumanniani trapelano dalla serie di Arabeschi op.4 (dedicati a Rimskij-Korsakov), dal gracile Improvviso op.6, dai vivaci Intermezzi opp.7-8 e dall’impetuosa Novelletta op.20. Paradossalmente, sia gli Intermezzi sia la Novelletta furono dedicati a Vladimir Stasov, l'irriducibile propugnatore della “russicità” in arte, nonché padre ideologico dei Cinque (ugualmente paradossale sarà la dedica del pezzo di matrice folklorica più marcata, la Ballata 'dei tempi che furono' op.21, al compositore più filo-occidentale e conservatore dell’epoca, Anton Rubinstein).
A partire dai primi anni '80, l'influenza di Schumann lascia il posto a quella di Chopin, destinata a diventare pervasiva nello stile di Ljadov. Le tre Mazurke op.3b (1877) sono il primo lavoro che si rifà a Chopin e in particolare al lato slavo del suo carattere. Decisamente chopiniani, ma in un’atmosfera più salottiera, sono lo Studio in la bemolle maggiore, op.5 (dedicato a Balakirev), il Valzer in fa diesis minore, op.9 n.1, il Preludio in re bemolle maggiore, op. 10 n.1, e numerose altre pagine fino all'op.57. Nonostante l'occasionale vacuità della loro eleganza, queste composizioni non sono mai prive di interesse musicale; si notino, ad esempio, la Ninna-nanna op.24 n.2, e la Barcarola op.44, smaccatamente forgiate su modelli chopiniani. Secondo Guy Sacre, l'opera che ha maggiormente influenzato lo tile di Ljadov sono i Tre Nuovi Studi composti da Chopin nel 1840. La loro scrittura estremamente raffinata, l'uso di poliritmi e di modulazioni audaci, e la minor importanza data all'elemento virtuosistico (rispetto ai 24 grandi studi) si accordavano perfettamente con "la delicata sensibilità di Ljadov, il suo gusto aristocratico e il suo orecchio divinatore".
Diversamente da Scriabin, che non s’interessava al canto popolare e considerava il nazionalismo musicale obsoleto, Ljadov rielaborò spesso temi russi e polacchi nelle sue composizioni, coerentemente con il suo imprinting slavofilo all'interno della Mogučaja Kučka.
Va anche ricordato che, nel 1897, la Società Geografica Imperiale lo invitò a raccogliere canti popolari in vari distretti dell'impero, insieme a Balakirev e a Ljapunov. Tale esperienza portò alla pubblicazione di varie raccolte di arrangiamenti vocali (le principali apparvero nel 1898, 1899 e 1902) e a una serie di aforistiche Canzoni popolari infantili per pianoforte, senza numero d'opera. Tratti slavi sono percepibili anche in composizioni largamente permeate da modelli occidentali: vedi, ad esempio, il sesto pezzo di Birjul'ki, con il suo tema modale in ritmo quinario, e il quinto pezzo della stessa raccolta, con l'inequivocabile citazione della Promenade di Musorgskij (Quadri di un'esposizione era stato appena composto, nel 1874). Il primo brano inconfondibilmente russo resta comunque il Preludio in si minore, op.11 n.1 (1886), basato su un tema popolare pubblicato in precedenza da Balakirev (il Preludio sarà orchestrato da Stravinskij).
Gli anni 1889-90, durante i quali il compositore si recò a Parigi con Beljaev per ascoltare l’esecuzione di suoi pezzi presentati all'Esposizione Universale, videro una particolare concentrazione di pezzi pianistici scritti nello spirito dei Cinque, ossia "in modo russico", come Musorgskij aveva scritto all'inizio dei Quadri. Tipicamente russa è la già menzionata Ballata 'dei tempi che furono', di cui Ljadov curò più tardi anche la versione orchestrale (in questo brano l’autore evoca anche il gusli, uno strumento tipico del folklore russo); citiamo inoltre, lo schizzo Nella radura op.23, l’allegra Processione (costruita sopra un basso ostinato di tre note: si bemolle/B, la/A, fa/F, simbolicamente riferito al dedicatario Beljaev), i Tre Pezzi op.33 (il terzo dei quali non è altro che una trasformazione di carattere pastorale del malinconico tema russo esposto nel primo pezzo). Chiari riferimenti al folklore slavo sono rintracciabili ovunque, nelle mazurche, nei cicli di variazioni e nella spiritosa Danza della zanzara, ultimo pezzo pubblicato vivente l'autore (sulla rivista Galčjonok, nel 1911).
Tra il 1891 e il 1893, Ljadov pubblicò alcune composizioni in forma di valzer che utilizzano solo i registri medio-acuti della tastiera e che testimoniano la sua passione per i giocattoli e gli strumenti meccanici. Mentre il Piccolo Valzer op.26 e le deliziose Marionette op.29 non hanno mai riscosso molta attenzione, la Tabacchiera musicale op.32 è riuscita a insinuarsi nel repertorio pianistico di tradizione e a diventare un noto bis da concerto, preservando così il nome del compositore da un completo oblio. Questo originale e tintinnante valse-badinage dedicato al figlio Miša, fu successivamente trascritto dall'autore per ottavino, flauti, clarinetti, arpa e glockenspiel, e riporta un’indicazione agogico-espressiva quantomai insolita: “Automaticamente” (un’indicazione che deve essere assai piaciuta a Stravinskij, il quale dichiarò di amare particolarmente questo brano, così spiritoso e anti-romantico).
La continua alternanza di elementi occidentali e slavi nella musica di Ljadov sembra riflettere la dicotomia socio-linguistica che caratterizza la Russia del secolo XIX: mentre le classi più elevate e le persone di cultura comunicavano in francese (e talvolta in tedesco), il popolo e – fino al 1861 – i servi usavano invece il russo. È più appropriato considerare Ljadov uno slavofilo moderato, un convinto filoccidentale (zapadnik), o un'originale commistione di entrambi? Ciò che senza dubbio lo attraeva era la ricerca di proporzioni perfette all'interno di un ristretto limite temporale, e il contrappunto barocco gli forniva un mezzo ideale per i suoi esperimenti di geometria sonora. Come un entomologo che osserva la struttura simmetrica di un insetto, si dilettava a comporre fughe e canoni secondo le regole tradizionali dell'armonia e del contrappunto. Alcuni di essi furono pubblicati come pezzi pianistici a sé stanti: la Giga e la Fuga incluse nell'op.3, i Canoni op.34 (estrapolati da un volume di canoni pubblicati da Beljaev nel 1898) e le due Fughe op.41 (per quanto spesso menzionati nel catalogo delle opere pianistiche di Ljadov, i 12 Canoni pubblicati nel 1914 sono una collezione di elementari esercizi teorici senza finalità artistiche).
Nel 1916, l'illustre musicologo Aleksandr Ossovskij, a suo tempo frequentatore del circolo di Beljaev, fece pubblicare alcuni frammenti manoscritti di Ljadov sul Giornale Musicale Russo.
Oltre al brevissimo e verosimilmente incompiuto Scherzo in si minore (denominato anche Coro, per oscure ragioni), si trovava anche un Fugato a tre voci sul tema LA-DO-FA. Questa specie di firma polifonica autografa è verosimilmente l'ultima pagina musicale lasciata dal compositore. Il suo testamento pianistico, tuttavia, era apparso in stampa tre anni prima, nel 1910, e consisteva di Quattro Pezzi op.64. Questi capolavori lillipuziani danno l’impressione che “Ljadov si stesse imbarcando in una nuova avventura, senza bussola e quasi senza bagaglio, soltanto con una piccola mappa scribacchiata da Scriabin”, per citare Guy Sacre.
“Attraverso i suoi accordi audaci, le loro particolari atmosfere, i loro titoli e le loro indicazioni poetiche, questi pezzi inaugurano una nuova maniera nel momento stesso in cui la sigillano definitivamente.” Il silenzio offriva a Ljadov un riparo preferibile alla modernità e la sua nostalgia per un passato ormai perduto trova la sua più pregnante espressione nell'ultima e malinconica Mazurka in fa minore, op.57 n.3, scritta nel 1905. Questa pagina sottilmente anacronistica, in cui compare l'ossimoro “Allegretto con amarezza”, rappresenta il tanto procrastinato addio del compositore al XIX secolo.

Entrambi i circoli di Balakirev e Beljaev si caratterizzavano, fra le altre cose, per la collaborativa partecipazione di vari compositori a opere collettive. L'idea di scrivere un pezzo per pianoforte in cui una semplice cellula melodica ricorresse a mo' di ostinato nel registro acuto della tastiera, venne un giorno a Borodin dopo aver ascoltato una delle sue figlie adottive strimpellare con due dita il cosiddetto “tema delle cotolette” (noto altresì come “tatitati”, “tema dei bastoncini cinesi”, o “valzer del cane”). Borodin riciclò il motivetto e gli costruì sotto un brillante Galop. L'idea piacque molto a Rimskij-Korsakov, che invitò i compagni della Mogučaja Kučka a compilare un'antologia di simili Parafrasi. Oltre a Borodin, soltanto Cui e Ljadov accettarono la sfida compositiva, e nell'arco della stagione 1878-79 vennero sfornate dozzine di ingegnosi e divertenti pezzi nei generi più diversi, di cui solo 14 vennero infine prescelti per la pubblicazione (è possibile ascoltare il ciclo completo delle Parafrasi nel cd Brilliant 93984 dedicato all'opera pianistica di Borodin).
Definito da Cui come “uno dei più sbalorditivi tour de force contrappuntistici mai visti”, le Parafrasi furono assai ammirate da Liszt, che considerava la nuova scuola russa come la più interessante e promettente del suo tempo. Il 28 luglio 1880, l'anziano maestro scrisse un piccolo preludio introduttivo al Galop di Borodin (incluso poi, volutamente manoscritto, nella seconda edizione delle Parafrasi). Il Preludio di Liszt non era solo un cordiale omaggio al gruppo di colleghi russi, ma serviva anche da autorevole garanzia contro eventuali detrattori di una composizione tanto eccezionale quanto eccentrica. Ljadov contribuì con uno scintillante Galop, un Valzer, una Giga (in cui viene citata la sequenza del Dies Irae) e un pomposo Corteggio trionfale. Le 24 Variazioni e Finale, dedicate “ai piccoli pianisti in grado di suonare il tema con un dito di ciascuna mano”, formano una serie a parte di brevissimi pezzi costruiti sopra la medesima idée fixe. Rimskij è l'autore delle variazioni 1, 2, 6, 11, 12, 13 ,16, 19; Cui delle var. 3, 5, 8, 17, 18 e del Finale; le rimanenti undici variazioni (nn. 4, 7, 9, 10, 14, 15, 20, 21, 22, 23, 24), tra le quali troviamo quelle di carattere più spiccatamente russo, furono composte dal giovane e promettente Anatolij.
Anche quando stava ancora lavorando nell'impresa di famiglia, l'illuminato dilettante Beljaev era solito invitare dei musicisti, ogni venerdì sera, per studiare ed eseguire i quartetti di Haydn, Mozart e Beethoven nel suo palazzo. In pochi anni il repertorio si estese, diventando principalmente russo, e i Pjatnicy (venerdì) di Belajev divennero presto una delle maggiori attrazioni per l’intelligencija di San Pietroburgo. Rimskij, Ljadov e Glazunov presenziavano regolarmente a questi incontri, durante i quali le loro opere venivano spesso presentate per la prima volta in pubblico (composto peraltro di soli uomini, data la profonda misoginia del padrone di casa). Nel 1887, in occasione dell'onomastico di Beljaev, ciascun compositore scrisse un movimento di un quartetto per archi basato su temi popolari russi (l'anno precedente, Rimskij, Borodin, Ljadov e Glazunov avevano composto un quartetto sul tema B(si bemolle)-LA-F(fa), per celebrare il 50° compleanno del loro benefattore). Il secondo movimento del Quartetto per l'Onomastico fu assegnato a Ljadov, che compose un solenne Canto celebrativo (Veličanie). L'intero quartetto fu quindi trascritto per pianoforte a quattro mani. Anche la Sarabanda in sol minore non è altro che la versione pianistica di un pezzo in stile barocco per quartetto d'archi concepito per una delle grandi serate musicali di Beljaev.
Negli altri pezzi pianistici collettivi - incisi qui per la prima volta - compaiono i nomi di vari membri illustri del circolo Beljaev. Molti di essi furono allievi di Rimskij-Korsakov al conservatorio di San Pietroburgo prima di diventare a loro volta docenti nello stesso istituto.
Nel 1890, Nikolaj Artsibušev (1858-1937), il compositore lettone Jāseps Vītols (1863-1948), e Nikolaj Sokolov (1859-1922) si unirono alla potente triade Rimskij-Ljadov-Glazunov nella composizione di uno scherzo (in russo, Šutka), ovvero in una parodia delle eccitanti quadriglie di Lanner e Johann Strauss. Nata nella seconda metà del secolo XVIII, la quadriglia era una contraddanza che coinvolgeva quattro coppie di danzatori alle prese con continui volteggi e scambi di partner. Assai di moda in Francia e Inghilterra, si diffuse quindi in Germania e Austria, dove divenne celebre anche come forma puramente strumentale. La tipica struttura francese in cinque parti (intitolate: Pantalon, Été, Poule, Pastourelle, Finale) si arricchì a Vienna di una sesta figura, Trénis (dal nome del maestro di danza Trenitz). Ljadov collaborò allo Scherzo-Quadriglia (Šutka-Kadril') in sei parti scrivendo la musica per la terza figura, la Poule (la gallina).
Il 2 gennaio 1894, Ljadov, Glazunov e il brillante compositore, pianista e direttore d'orchestra Felix Blumenfeld (1863-1931) festeggiarono il 70° compleanno di Vladimir Stasov con alcune solenni fanfare (Slavlenija) per pianoforte a quattro mani. Fratello del cantante e compositore Sigismund Blumenfeld (1859-1920), Felix Blumenfeld è ricordato, tra l'altro, per aver diretto la prima esecuzione in Russia del Tristan und Isolde, molte opere di Rimskij-Korsakov, e nel 1908, la storica prima parigina del Boris Godunov (Ljadov gli dedicò i Quattro Preludi op.39).
Nel 1899, Blumenfeld collaborò alla composizione di una serie di virtuosistiche variazioni per pianoforte, insieme a Rimskij, Ljadov, Glazunov, Sokolov, Vītols e Aleksandr Winkler (1865-1935). Il tema fu estrapolato da una raccolta di canti popolari pubblicata nel 1879 da Nikolaj Abramičev, a cui le Variazioni su un tema russo sono dedicate (Ljadov aveva in precedenza dedicato al medesimo studioso i suoi Tre Pezzi op.33). La prima frase del tema, “Malenkij Mal'čišenko v gorenke sidel” (“Un ragazzino se ne stava seduto in una cameretta”) corrisponde a una semplice melodia di cinque battute basata sulla triade di la maggiore; la seconda frase, “Zadumal ja dumušku: ženit'sja choču” (“Mi è venuta un'ideuzza: voglio prender moglie”) corrisponde a quattro battute di una melodia più elaborata che termina sulla dominante. Nell'armonizzazione del tema fatta da Ljadov queste ultime quattro battute vengono ripetute due volte (la seconda volta con ritorno alla tonica) dando origine a un asimmetrico tema di 13 battute. Si direbbe che Ljadov abbia rivestito un ruolo protagonistico in questa composizione: oltre alla stesura del tema, vennero incluse due sue variazioni, a differenza dei colleghi che ne inclusero una soltanto. La prima variazione (n.6, in re bemolle maggiore) è un plateale omaggio all'ampio cantabile chopiniano, mentre la seconda (n.7, in la maggiore) mostra la predilezione di Ljadov per le combinazioni poliritmiche (in questo caso, cinque note contro tre). Tutte le variazioni mantengono la tonalità maggiore del tema, tranne quella pateticissima - e sornionamente ironica - di Sokolov. La variazione di Rimskij-Korsakov fu collocata per diritto d'anzianità e di prestigio al primo posto; Glazunov, invece, ebbe l'incarico di concludere il ciclo con un vigoroso finale “alla polacca”. Le Variazioni su un tema russo furono pubblicate nel 1900 e da allora non sono state quasi mai eseguite. Con questa coinvolgente composizione pianistica, ingiustamente ancora sconosciuta, Beljaev e i suoi amici inaugurarono il nuovo secolo nel modo più giocoso e spensierato.

Marco Rapetti (note al CD Brilliant Classics 94155)

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