Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, ottobre 08, 2011

Reich: musica come processo graduale

Non mi riferisco al processo di composizione, ma piuttosto a pezzi musicali che sono, letteralmente, processi.
La caratteristica dei processi musicali è che determinano simultaneamente tutti i dettagli nota per nota (suono per suono) e la forma globale (si pensi a un canone circolare o infinito).
Mi interessano i processi percepibili. Voglio poter udire il processo nel suo svolgimento sonoro.
Per favorire un ascolto attento ai minimi dettagli, il processo musicale dovrebbe svolgersi con estrema gradualità.
L'esecuzione e l'ascolto di un processo musicale graduale somigliano a: spingere un'altalena, lasciarla andare, e osservarla mentre ritorna gradualmente all'immobilità; capovolgere una clessidra e osservare la sabbia mentre scorre lentamente e si accumula sul fondo; affondare i piedi nella sabbia sulla riva dell'oceano e guardare, sentire e ascoltare le onde che poco a poco li seppelliscono.
Una volta avviato e innescato, il processo va avanti da solo, anche se posso certamente provare il piacere di scoprire processi musicali e di comporre il materiale musicale per poterli svolgere.
Può essere che il materiale suggerisca il tipo di processo adatto a svolgerlo (il contenuto suggerisce la forma), o che il processo suggerisca che tipo di materiale adoperare (la forma suggerisce il contenuto): se la scarpa calza, indossatela.
Il processo musicale si può attuare con un'esecuzione dal vivo di musicisti in concerto oppure con degli strumenti elettroacustici. In ultima analisi, non è questo il problema principale. Uno dei più bei concerti cui ho assistito era tenuto da quattro compositori che facevano ascoltare alcune loro opere su nastro magnetico in una sala buia - un nastro è interessante quando è un nastro interessante.
Quando si lavora di frequente con apparecchiature elettroacustiche si è portati a riflettere sui processi musicali. Tutta la musica non è, in fin dei conti, che musica etnica.
I processi musicali possono metterci in contatto diretto con l'impersonale e darci nello stesso tempo una specie di controllo totale (spesso non si pensa che l'impersonale possa accompagnarsi al controllo totale). Quando parlo di "una specie" di controllo totale, voglio dire che l'atto di svolgere un dato materiale attraverso un processo consente un controllo completo dei risultati, ma nello stesso tempo porta anche ad accettare tutto ciò che ne risulta senza apportarvi modifiche.
John Cage ha usato i processi e ne ha accettato i risultati, ma i suoi processi sono di tipo compositivo e non si possono distinguere durante l'ascolto. Il processo che consiste nell'usare l'I-Ching o le imperfezioni di un foglio di carta per definire dei parametri musicali non è trasparente all'ascolto; l'orecchio non riesce a cogliere la relazione tra i processi compositivi e la realtà sonora. Analogamente, nella musica seriale la serie raramente è udibile. Questa è una differenza fondamentale tra la musica seriale (essenzialmente europea) e l'arte seriale (essenzialmente americana), in cui la serie percepita è di solito il punto focale dell'opera.
Mi interessa un processo compositivo che sia tutt'uno con la realtà sonora.
James Tenney mi ha detto nel corso di una conversazione: «Ma allora il compositore non ha segreti». Non conosco alcun segreto nella struttura che non si possa udire. Il processo è udibile e noi tutti possiamo ascoltarne insieme lo svolgimento. Una delle ragioni per cui si può udire è che si svolge con estrema gradualità.
Il ricorso a meccanismi nascosti nella musica non mi ha mai attirato.
Ci sono misteri a sufficienza per soddisfare tutti anche quando il gioco è scoperto e chiunque può ascoltare quanto si svolge gradualmente in un processo musicale. Questi misteri sono i sottoprodotti psicoacustici, impersonali e involontari, del processo stabilito; possono comprendere melodie secondarie che si ascoltano all'interno di motivi melodici ripetuti, effetti stereofonici che dipendono dalla posizione dell'ascoltatore, leggere irregolarità nell'esecuzione, armonici, suoni differenziali, ecc..
Ascoltare un processo musicale che si svolge con estrema gradualità mi consente di prestare attenzione a esso, ma esso si estende sempre oltre le mie capacità di percezione, il che rende interessante riascoltare lo stesso processo musicale più volte. Con esso mi riferisco a quel settore di sviluppo di ogni processo musicale graduale (e completamente controllato) in cui si possono udire i dettagli del suono allontanarsi dalle intenzioni e seguire la propria indipendente logica acustica.
Comincio a percepire questi dettagli minuti quando riesco a sostenere un'alta concentrazione, e quando un processo graduale la induce. Per "graduale" intendo estremamente graduale; un processo che si svolge con tale lentezza e gradualità che ascoltarlo è simile all'osservazione della lancetta dei minuti di un orologio - se ne può percepire il movimento solo dopo averla osservata per qualche tempo.
Anche varie musiche modali che oggi godono di una certa popolarità, come la musica classica indiana e il rock psichedelico, ci inducono a prestare attenzione ai minimi dettagli del suono. Essendo modali, con un centro tonale costante e con l'effetto di un bordone ipnotico e ripetitivo, tendono naturalmente a concentrarsi su questi dettagli piuttosto che sulla modulazione tonale, sul contrappunto o su altre tecniche tipicamente occidentali. Ma queste musiche modali restano schemi più o meno rigidi per l'improvvisazione: non sono dei processi.
La caratteristica dei processi musicali è che determinano simultaneamente tutti i dettagli, nota per nota, e la forma complessiva. Non si può improvvisare in un processo musicale: i due concetti si escludono a vicenda.
Quando si esegue o si ascolta un processo musicale graduale si partecipa a una specie particolare di rito liberatorio e impersonale. Concentrarsi sul processo musicale consente di trasferire l'attenzione dal lui, dal lei, dal tu e dall'io verso l'esterno: sull'esso.

Steve Reich, 1968

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