Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

venerdì, giugno 23, 2006

La viola di Kim Kashkashian

Fascinosa ma discreta, la violista Kim Kashkashian ha il carattere dello strumento che ha scelto.
Si dice che ogni musicista rientri in un cliché: ciascuno ha le caratteristiche fisiche e psicologiche che corrispondono al suo strumento. Kim Kashkashian, giovane virtuosa della viola, non fa eccezione. Somiglia allo strumento che ha scelto: fascinosa ma estremamente discreta, nient'affatto primadonna, ha sempre l'aria di scusarsi ("non ho mai pensato di diventare solista"). Americana di origine armena, diplomata al Peabody Conservatory di Baltimora, si è recentemente trasferita in Europa, a Monaco di Baviera. Ha al suo attivo dischi con Nikolaus Harnoncourt, con Gidon Kremer (col quale ha inciso anche un'inaspettata frivolezza, valzer di Strauss senior e di Lanner per quattro strumenti ad arco) e due dischi di brani contemporanei per viola sola, o per viola e pianoforte, incisi per la ECM.

Che cosa ti ha fatto innamorare del tuo strumento?
Forse il fatto che, quando ho cominciato, i violisti erano ancora più rari di quanto lo siano adesso. Grazie al cielo ora le cose stanno cambiando, però ci sentiamo ancora un po' come dei missionari. Ci vorrà del tempo perché la viola venga considerata un vero strumento solista.
La viola è stata la tua prima scelta, quando hai cominciato a studiare?
Dai nove ai dodici anni ho studiato il violino, poi sono passata alla viola. Ho cominciato tardi, comunque: nove anni sono tanti, per uno strumento ad arco. E' uno handicap che sconto ancora, ogni giorno. Devo fare molta attenzione ai muscoli e alla coordinazione. Però sono anche felice che le cose siano andate così: ho avuto la possibilità di avere un'infanzia, diciamo così, normale, il che non succede a chi inizia lo studio di uno strumento ad arco all'età giusta. Ho potuto dedicarmi anche a molte attività ex tramusicali.
E te ne occupi ancora?
Si, amo molto le arti visive, mi piace guardare. Seguo l'arte contemporanea e il mio interesse per il cinema sta crescendo. Ho anche praticato per qualche anno lo jujitsu, ma quando sono diventata brava ho dovuto smettere: i movimenti erano troppo rapidi e pericolosi.
Hai mai suonato in un'orchestra?
Soltanto per brevi periodi, mentre ancora studiavo, nella Baltimore Symphonic Orchestra. Non ho mai pensato che quello potesse essere il mio mestiere. E' una questione di carattere: mi sentivo più utile nella musica da camera.
Speravi fin dall'inizio di diventare solista?
Assolutamente no! Non ci ho mai neppure pensato. E' stato... non un incidente ma, diciamo, uno sviluppo nient'affatto premeditato. Il mio primo concerto da solista è stato voluto da me, ma per ragioni in un certo senso didattiche. Ogni volta che suonavo in un gruppo di musica da camera mi accorgevo di non essere in grado di interpretare bene una melodia, di darle un senso. La avvertivo come una grossa debolezza, ed è per correggerla che ho deciso di suonare qualche volta come solista. Avevo vent'anni. E' stato così che la mia carriera ha preso una direzione inaspettata.
Chi sono state le persone più importanti, nella tua formazione?
Prima di tutto Sandor Vegh. Ho partecipato spesso al Marlboro Music Festival e per due estati è venuto anche Vegh. Suonare i quartetti di Bartok con lui è stata un'esperienza che mi ha insegnato moltissimo. Un'altra persona che ho incontrato al festival e che ha significato molto per me è stato Felix Galimir, che aveva una grande passione per la musica d'oggi e metteva una straordinaria energia morale nel comunicare ai giovani i valori in cui credeva. Naturalmente potrei elencare moltissimi altri nomi, ma preferisco fermarmi qui per non sminuire l'importanza di questi due, che hanno veramente contato moltissimo.
Come sono stati i tuoi incontri con Harnoncourt e con Kremer?
Bellissimi. Con Harnoncourt non soltanto si imparano molti dettagli preziosi nell'interpretazione del repertorio classico, ma si è anche ispirati e trascinati dal suo personale approccio alla musica, che è straordinariamente intenso e coerente. Senza compromessi.
Si dice che sia molto esigente con chi lavora con lui.
Non è un problema: anch'io sono molto esigente con me stessa. Sempre. Qualsiasi cosa faccia. Sono fatta così.
Come è nato il tuo entusiasmo per la musica contemporanea?
Penso che le radici siano nello studio di Bartok e Hindemith; ho cominciato a eseguirli verso i quindici anni, come è normale, perché la loro musica è una delle basi del repertorio violistico. Oggi ho l'abitudine di includere sempre un lavoro contemporaneo nei miei concerti. Ma, al contrario di quanto si fa in Europa, io uso l'aggettivo "contemporaneo" in senso letterale: intendo dire un brano scritto nell'arco degli ultimi due anni.
Cambi spesso i programmi dei tuoi concerti?
Non troppo spesso. Mi piace ripetere ogni brano molte volte, perché ho l'impressione di aver sempre molto da imparare e perché l'approccio musicale varia in continuazione. Non ho ancora mai avuto la sensazione di aver suonato un pezzo una volta di troppo. C'è sempre qualcosa di sperimentale nei miei concerti: non sono mai troppo sicura di me.
Quali sono i tuoi programmi, adesso?
Il prossimo sarà un anno abbastanza normale. Includerà una tournée in Germania, Inghilterra e America con il Concerto di Bartok, e un programma con Robert Levin al pianoforte. Intanto continuerò a dedicarmi al progetto che, presumibilmente, mi impegnerà per i prossimi dieci anni: studiare il tedesco. Monaco è una bellissima città, ma finché non conoscerò la lingua mi ci sentirò un po' isolata. Sto anche lavorando alla mia trascrizione dell'anno: lavoro sempre a nuove trascrizioni, per allargare il repertorio della viola; stavolta si tratta di alcuni concerti di Vivaldi. Poi sto pensando a un programma di musica per viola e percussioni, ma questo è un progetto ancora agli inizi.

intervista di Nicoletta Gasperini (Musica Viva, Anno XII n.10, ottobre 1988)

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