Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

mercoledì, aprile 19, 2006

Luigi Nono e sulla sua inquieta lezione

Sto riascoltando il Quartetto LaSalle in Fragmente Stille, an Diotima, uno dei pochi lavori dell'ultima stagione compositiva di Luigi Nono (Venezia, 29 gennaio 1924 - 9 maggio 1990) che abbiano avuto un pronto riscontro discografico. E mi chiedo quanto tempo dovrà ancora passare prima che il pubblico non assiduo ai festival di musica contemporanea - quando ancora esistevano: a proposito, che fine ha fatto la Biennale Musica di Venezia, che nonostante i tentativi di rianimazione (l'edizione Bussotti 1989) proprio con Prometeo, tragedia dell'ascolto di Nono sembra aver esalato nell'oramai remoto 1984 (Chiesa di San Lorenzo, 25 settembre) l'ultimo respiro? - possa conoscere la produzione più recente del compositore veneziano.
Una fetta musicale imponente, di significativa suggestione e non trascurabile sofisticheria linguistica. Che se venisse offerta liberamente, al pubblico autentico che sceglie (e paga) il proprio disco, contribuirebbe a alleggerire il ricordo di Luigi Nono, troppo a lungo rubricato e zavorrato - tra il facile dileggio dei detrattori e l'altrettanta redditizia solidarietà degli "impegnati", spesso involontari complici di un paradossale culto della personalità e dell'ideologia cui Nono fornì carburante per un trentennio - dalle etichette politiche, dalle miopie da schieramento linguistico.
Nulla di ciò nasce per caso. Quando, nonostante il patrocinio eccellente di Hermann Scherchen, le Variazioni canoniche sulla serie dell'op. 41 di Arnold Schönberg furono tempestosamente accolte a Darmstadt, nel sacrario dell'avanguardia musicale europea, il ventiseienne compositore veneziano era un semplice allievo. Ma non lo rimase per molto. Malgrado la formazione "dilettantistica" (aveva studiato sì con Gianfrancesco Malipiero ma non si diplomò. Alla sua formazione aperta concorsero il precocissimo Bruno Maderna, l'influenza di Scherchen e di Edgar Varèse, quindi la condivisa militanza accademica con Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen e Luciano Berio) si impose subito come personalità di primo piano sia sotto il profilo della padronanza tecnica che sotto quello, meno comodo, della consapevolezza ideologica.
Le Variazioni canoniche, che già nel titolo denunciavano i confini sintattici (il controllo e ripensamento radicale dello spazio musicale ambito attraverso il contrappunto "canonico" ereditato dai fiamminghi e rinsaldato alla lezione radicale schoenberghiana) entro cui si sarebbero convogliati quarant'anni di ricerca compositiva, furono un debutto già intransigente. Seguirono un decennio di progressiva immersione nella lingua dell'avanguardia - i titoli strumentali più importanti, tenuti a battesimo da Scherchen o Maderna, furono Polifonia-Monodia-Ritmica per sei strumenti a percussione (1951), Due espressioni per orchestra (1952), Canti per 13 e Incontri per 24 strumenti (1955), Composizione per orchestra n.2 Diario Polacco '58 (1958-59) - in un singolare processo di sovraesposizione ideologica che s'impone con ineluttabilità soprattutto al momento di affrontare la composizione con voce, e quindi di scegliere testi eloquenti. I titoli di questi anni sono significativi di per sé - i versi di Garcia Lorca infiammano il trittico Espana en el corazon, Y su sangre ya viene cantando e Memento, Romance de la guardia civil espanola (1951-5 3), quelli di Cesare Pavese La terra e la compagna (1957) e Sarà dolce tacere (1960), quelli di Giuseppe Ungaretti Cori di Didone(1958) e le Lettere di condannati a morte della Resistenza europea l'affresco vocale strumentale Il canto sospeso (1955-56) - ma ancor più valgono le prime prese di posizione politiche, l'avvio di amicizie internazionali che coprono le zone rivoluzionariamente più calde degli Anni Cinquanta-Sessanta, da Cuba al Vietnam, dalla Ddr all'America Latina.
L'identificazione del far musica con l'impegno dell'artista, la necessità di essere compositore del/nel proprio tempo risuona come imperativo etico nel testo della conferenza "Presenza storica nella musica d'oggi", con cui Nono conclude il suo decennio di apprendistato e si accomiata nel 1959 dall'avanguardia oramai sclerotizzata di Darmstadt. L'azione scenica Intolleranza per soli, coro, nastro magnetico e orchestra, su testi collazionati da Ripellino, e l'Omaggio a Emilio Vedova per nastro magnetico, entrambi del 1960, segnano l'avvio dell'attività di sperimentatore elettroacustico intrapresa prima al neonato (e non ancora resuscitato) Studio di Fonologia Musicale della Rai di Milano, quindi all'Experimental-Studio Heinrich Strobel Stiftung della Südwestfunk di Friburgo (di cui divenne negli Anni Ottanta consulente musicale). Il progetto di Nono si caratterizza però subito come motivato da un intento "polifonico" inedito: voci dal vivo, voci registrate, materiali sonori eterogenei, strumenti suonati tradizionalmente, testi diversissimi ora resi irriconoscibili ora portati violentemente in primo piano come slogan acustico-contestatori, partiture costruite attraverso il coinvolgimento e la responsabilizzazione creativa (quindi, inevitabilmente, ideologica) degli esecutori, l'interesse per una lingua aperta, problematica, tutto sommato meno demagogica di come è stata voluttuosamente dipinta dagli avversari.
Il "politico" di Nono coincide con il suo impegno di artista pubblico che sfrutta, un po' unidirezionalmente certo, il sostegno accordato dalle istituzioni amiche. Ha inizio un'imponente campagna promozionale a favore del binomio musica-politica che avrà risvolti contestatori nei concerti nelle fabbriche e didattici nelle celebri rassegne emiliane "Musica/Realtà" e quindi contribuirà (con la decisiva collaborazione di esecutori-amici come Claudio Abbado, Maurizio Pollini, Bruno Canino) tra l'altro alla nascita dei cicli concertistici scaligeri "per lavoratori e studenti" e alla fondazione di "Musica nel nostro tempo". La lingua musicale si caratterizza attraverso agglomerazioni sonore fiammeggianti, contrasti dinamici radicali, compromissioni continue tra strumenti tradizionali e immersione nel magma elettronico. Ricordiamo alcune partiture: La fabbrica illuminata (1964), Ricorda cosa ti hanno fatto a Auschwitz e A florestam è jovem e chja de vida (1966), Per Bastiana Tai-Yang Cheng (1967), Non consumiamo Marx (1969), Como una ola de fuerza y luz (1971).
Il cosiddetto secondo periodo di Nono si conclude con la monumentale ricapitolazione tecnica e ideologica dell'azione scenica Al gran sole carico d'amore (1972-74: prima esecuzione 1975, seconda versione 1978: testi di Brecht, Castro, Che Guevara, Gorki, Gramsci, Lenin, Marx, Pavese, Rimbaud, Sanchez eccetera), fonte d'infinite polemiche strumentali, sopite solo in parte dalla resa splendida dello spettacolo Borovsky-Ljubimov e della parte musicale guidata da Abbado.
Con una conversione sintattica imprevedibile, il lavoro di Nono si orienta in seguito diversamente. Non più grandi gesti, proclami rivoluzionari e giganteschi spiegamenti di mezzi musicali, ma una ricerca meno appariscente, sottile, disposta a ridare credito al "privato", ai sentimenti, alla micro drammatizzazione espressiva dei testi non più assunti come tadze-bao ma in funzione di confessione frammentaria e intima. Sofferta e scandita dai silenzi, costruita attraverso le pause e un processo di stilizzazione di tute le coordinate acustico-musicali, reso possibile in forme morbosamente radicali dall'assoluta maneggevolezza acquisita nell'uso del live-electronics (cioè dalla possibilità di riconsiderare attraverso la trasformazione via computer, ma simultaneamente all'esecutore, sia la qualità che la distribuzione spaziale dei singoli suoni). La via nuova, comunque non meno rigorosamente percorsa, semmai accesa da un'intransigenza poetica che viene imposta ancor più (offrendo in cambio un'enfasi sentimentale un tempo soffocata dall'apparato ideologico) al pubblico, si può considerare avviata da... sofferte onde serene... per pianoforte e nastro magnetico (1974-76) e proseguita dal nostro Fragmente-Stille, an Diotima per quartetto d'archi (1979-80) e Das Atmende Klarsein per flauto basso e piccolo coro (1981). Ecco il progetto compositivo maturo di Nono, disposto a una riconsiderazione della timbrica radicale, della concezione spaziale del suono, dell'uso microintervallare e delle pause in funzione d'un linguaggio di reinventata disponibilità lirica. L'uso sempre più metodico del live-electronics e delle possibilità di spazializzazione e trasfigurazione acustica impiegata a scopi fortemente emotivi informa quella straordinaria ultima produzione che vorremmo ritrovare presto in registrazione digitale e in Cd. Il gigantesco approdo fu la sintesi acustico-teatrale espressa in Prometeo, tragedia dell'ascolto (1984: testi vari, da Eschilo e Benjamin, coniugati da Massimo Cacciari), ma la cornice compositiva alla quale ha contribuito una nuova generazione di interpreti (da Roberto Fabbriciani a Ciro Scarponi e Alvise Vidolin) è stata ancor più impressionante ed esteticamente convincente: Quando stanno morendo, Diario polacco n.2 (1982), Guai ai gelidi mostri e Omaggio a Gyórgy Kurtag (1983). A Pierre, dell'azzurro silenzio, inquietum (1985), Risonanze erranti, Liederzyklus a Massimo Cacciari (1986).
"E' il Viandante di Nietzsche, della continua ricerca, del Prometeo di Cacciari. E il mare sul quale si va inventando, scoprendo la rotta", disse Luigi Nono a proposito della scritta "Caminantes non hay que caminos, hay que caminar" (Oh voi che camminate, che andate, non ci sono cammini, strade indicate, ma bisogna camminare) raccolta sul muro di un antico chiostro di Toledo nel 1987. Le sue ultime partiture con esclusione dei Post-Prae-Ludium (1987-88): Donau per tuba e live electronics e Baab-arr per ottavino - sono tessere di una sorta di progetto aperto di cui i titoli compiuti sono le "stazioni": Caminantes... Ayacucho per contralto, flauto, cori e orchestra (1986-87), No hay caminos, hay que caminar... Andrej Tarkovsky per sette cori (1987), La lontananza Nostalgica-Futura, Madrigale a più "caminantes" con Gidon Kremer, per violino, nastro magnetico e live electronics (1988) e "Hay que caminar" sognando per due violini (1989), suo testamento sonoro e spirituale.

Angelo Foletto (Musica Viva, Anno XIV n.7, luglio 1990)

Nessun commento: