Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

martedì, marzo 21, 2006

Un oboe crepato ed il Teatro si ferma

Il Prof. A., primo oboe titolare dell'orchestra di un Ente Lirico, avverte alle nove il suo Direttore artistico che deve urgentemente conferire per un grave motivo: gli si è rotto, anzi, gli si è crepato l'oboe nuovo. Viene urgentemente ricevuto ed espone il caso in tutti i suoi molteplici addentellati; mentre il professore di oboe parla - per ventisei minuti - il Direttore Artistico compila una scheda che intitola "Imprevista sostituzione di strumento" e che gli servità per impostare la pratica ad ogni livello.
Eccola:

Oboe 1
di proprietà del Prof. A.
Crepato, inservibile.

Oboe 2
di proprietà del Prof. A
In riparazione a Modena per sostituzione tamponi ed altro: non disponibile, disponibile fra una decina di giorni.

Oboe 3
di proprietà della Ditta M.
Costo di listino L. 4.000.000; in vendita a L. 3.500.000.

Oboe 4
di proprietà della Ditta N.
Disponibile a noleggio.

Oboe 5
di proprietà dell'allievo B.
Disponibile in prestito gratuito, molto mediocre.

Oboe 6
di proprietà dell'allievo C.
Eccellente, stessa marca Oboe 1, presunto pericolo di crepa.

Oboe 7
di proprietà del collega D.
Disponibile in prestito per la giornata, non di più.

Oboe 8
di proprietà del collega E.
Ordinato e pagato, in costruzione, consegna fra due mesi.

Oboe 9
ex proprietà del collega F.
Alienato, non più disponibile, nè rintracciabile.

Oboe 10
vedi Oboe 9
Vedi sopra.

Completato il panorama ha inizio il dibattito tra il Direttore Artistico e il Prof. A. Dopo aver posto alcune astute domande a tranello per assicurarsi che tutto sia stato esposto nei termini esatti, che il Prof. A. abbia esperito tutte le opportune ricerche e non ci siano nascosti inghippi di qualsiasi genere, il Direttore Artistico concentra l'attenzione sugli oboi 3 e 4. La soluzione più semplice è il noleggio dell'Oboe 4, ma si sa che le cose più semplici sono le più complicate: l'Oboe 4, marca S., ha un sistema di chiavi che non piace al Prof. A., il quale ha sempre fermamente rifiutato di suonare quel tipo di strumento. Con la morte nel cuore, e sapendo a che cosa va incontro, il Direttore Artistico si prepara ad affrontare il problema "Oboe 3".
Qual è il problema? Per acquistare un oboe da tre milioni e mezzo, in un Ente di diritto pubblico, non basta disporre di tre milioni e mezzo in cassa o in bilancio: si può anche non possedere un baiocco (si pagherà tra un anno), ma è indispensabile avere in mano almeno tre preventivi, di cui uno da tre milioni e cinquecentomila lire, uno da tre milioni e cinquecentoventimila, uno da tre milioni e cinquecentotrentamila o giù di lì (sono ammesse tutte le più artistiche variazioni in cifra, si sa, purché i preventivi siano tre). I tre preventivi non ci sono e sarà impossibile averli nell'arco di ventiquattr'ore.
Il Direttore Artistico tenta una diversione, puntando sull'oboc 5: sarebbe possibile che ... ? Il Prof. A. dice di no, e suggerisce di chiedere, il candido, se sarebbero invece disponibili in cassa i tre milioni e mezzo. Telefonata in Amministrazione. Risposta: il relativo capitolo di bilancio presenta la necessaria capienza e la cassa "capisce" la somma. Controdomanda: ma ci sono i tre preventivi? Non ci sono.
Tentativo disperato e malaccorto. Il Direttore Artistico cerca di fare il primo della classe ed osserva che se anche ci fossero i debiti preventivi non si potrebbero avere in tempo il placet della Commissione Consultiva Acquisti e la Delibera del Consiglio d'Amministrazione. E' vero, gli si risponde, ma dichiarando il Caso di Estrema Urgenza si potrebbe ricorrere alla Determinazione del Presidente con successiva Ratifica del Consiglio. Touché. Dopo lunga e confusa confabulazione con il Prof. A., che è ormai in stato preagonico, il Direttore Artistico decide di tentare la soluzione "all'italiana": chiedere alla Ditta M. l'Oboe 3 "in visione", acquisendo contestualmente il preventivo (e chiedendone altri due a ditte notoriamente aliene da sconti). Telefonata. Il gestore della Ditta M., italianissimo, respinge con fermezza il subdolo assalto: «Lo strumento non esce se non è acquistato». Si riparte da capo. Conoscendo già tutto il copione, il Direttore Artistico non può però resistere di fronte all'ingenua speranza del Prof. A., che non intende come e perché, in un caso così... Chiede una riunione congiunta con Sovrintendente e Direttore Amministrativo, l'ottiene, cava fuori la sua scheda e comincia ad illustrare tutta la situazione. La conclusione - faccio venia al lettore di come ci si arrivi, con tutti quegli oboi che fanno girare la testa a chi non è del mestiere - è che il caso è eccezionale, che il Prof. A. ha fatto tutto il suo meglio per rimediare, che un oboe di proprietà dell'Ente, per i casi eccezionali, potrebbe far comodo e che la soluzione ottimale sia di acquistare l'Oboe 3, magari togliendo momentaneamente al Prof. A., per regolarità, la "indennità strumento". Questo in astratto, cioè da persone di buon senso. In concreto, la soluzione ottimale è impraticabile.
Dopo tre ore e quaranta minuti da che il Prof. A. ha chiesto di conferire, la situazione si radicalizza all'estremo. Conclusione: l'Ente dimostra la sua sollecitudine noleggiando l'Oboe 4. Ma l'Oboe 4 verrà suonato? Come preventivo non si sa. Come consuntivo, si vedrà.
Consuntivo: l'Oboe 4 è rimasto giacente presso l'Archivio Musicale, competente alla custodia degli strumenti, il Prof. A. ha suonato l'Oboe 5, riuscendo con un grande lavoro sull'ancia cosa da introdurre negli annali della scienza ancistica - e con miracoli di virtuosismo del labbro, a far diventare meno disastroso uno strumento inadatto. Il caso si chiude e tutto è a posto: nel subconscio tutti sapevano fin dal principio che sarebbe stato usato l'Oboe 5, ma la mattinata è servita a dimostrare al Prof. A. la solidarietà - impotente - della Direzione, e a convincerlo a compier lui lo sforzo per non far sentire al pubblico un piffero invece di un oboe.

Altro caso, un po' diverso (ma in sostanza non molto). Si decide di fare uno spettacolino "intelligente", con pochi personaggi, poco costoso, da distribuire in decentramento. Si sceglie un costumista che abita a X. e gli si dice che c'è disponibile una somma massima di cinque milioni per l'acquisto dei costumi. Il costumista disegna dei bei bozzetti e propone di far confezionare i dodici costumi da una piccola sartoria della città di X., che lavora per la prosa e che non sarebbe attrezzata per grosse forniture di lirica, ma che proprio per ciò costa meno. Il costumista, abitando a X., potrà anche andare ogni giorno in sartoria per seguire il lavoro. La sartoria detta telefonicamente un preventivo di quattro milioni e mezzo: un buon preventivo. Ma ci vogliono i tre preventivi. Il costumista rispedisce da X. i bozzetti, l'Ente istruisce la pratica, richiede con lettera raccomandata i preventivi scritti alla sartoria di X. e a sartorie delle città di Y. e di Z., preventivi che, come previsto, sono rispettivamente di quattro milioni e mezzo, di sei milioni, di sei milioni e mezzo. Ci sono i termini per passare l'ordine alla sartoria di X., che nel frattempo ha incominciato a lavorare perché altrimenti, non avendo molto personale, non sarebbe arrivata in tempo per la consegna. E se un'altra sartoria avesse fatto un preventivo di quattro milioni e quattrocentomila lire? In tal caso - improbabile, ma in teoria possibile - avrebbe avuto l'ordine, e l'Ente avrebbe rimborsato al costumista alcuni viaggi e relativi soggiorni da X. a Y. o a Z. per controllare la confezione.

Di queste storie si potrebbe raccontarne a dozzine e si potrebbe trovarne a milioni nella storia della burocrazia e relativa letteratura. E ci saranno certamente, ci son certamente fior di ragioni perché gli enti pubblici debbano seguire determinate regole. Ma mettiamo che, invece dell'oboe, fosse stato il tenore a rompersi la testa cadendo dalle scale dell'albergo. Che sarebbe successo, allora? Il Direttore Artistico si sarebbe attaccato al telefono e se avesse trovato disponibile un buon sostituto avrebbe ringraziato il cielo ed avrebbe concordato senza batter ciglio e senza temer nulla un onorario di cinque milioni, che senza batter ciglio sarebbe stato confermato dal Sovrintendente e pagato sull'unghia dall'Amministrazione.
Se avesse trovato per miracolo un divo dell'ugola avrebbe concordato dieci o dodici milioni, ed avrebbe ricevuto i complimenti entusiastici del pubblico. E del resto, se per dodici costumi ci vogliono tre preventivi, per scritturare per dodici recite, a cinque milioni a recita, un cantante non ci vuole, lo Stato non chiede altra garanzia che la scelta dichiarata di natura artistica.
Perché mai si possono "assegnare" ad un artista, con un rapporto diretto ed in sostanza privato, sessanta milioni, e non si può assegnare similmente ad una sartoria una fornitura per quattro milioni e mezzo? Perché, suppongo, la mentalità galileiana invece che baconiana che impera nel nostro paese impone di procedere per principi invece che secondo statistica. Secondo i principi del diritto pubblico la fornitura di dodici costumi teatrali e la fornitura di dodicimila divise per i carabinieri devono sottostare alle stesse procedure; secondo statistica si tratterebbe di vedere quante assegnazioni di forniture per dodici costumi siano state in grado di rispettare nella sostanza, non nella forma, il principio della gara. Ma anche senza la statistica basterebbe il buon senso, o addirittura il senso comune per dire che un altro principio, quello dell'economicità della gestione, non viene automaticamente salvaguardato facendo una gara per una fornitura dell'ordine di quattro milioni e mezzo, in Enti con dodici o quindici miliardi di bilancio.
Chi fa il mestiere di organizzatore di teatro musicale deve essere in grado di valutare se la proposta di un costumista, che sceglie una sartoria di sua fiducia, sia liscia oppur pelosa, invece di esser costretto, una volta fattasi questa convinzione, a costruire artificiosamente il "supporto cartaceo" che lo mette al riparo dai pericoli. Ma in Italia, patria del diritto, valgono i principi e valgono le applicazioni analogiche dei principi. Per quanto concerne la scrittura degli artisti il diritto pubblico... non ha invece un'esperienza da applicare per analogia, e lascia - per fortuna - che le cose vadano in un altro modo, senza neppure preoccuparsi se l'artista Tizio, per lo stesso ruolo, viene pagato una lira in un teatro e due lire in un altro.
C'è un rimedio? In tempi in cui si parla di nuovo di legge di riforma per le attività musicali è il caso di chiederselo. E le risposte possono essere due. 0 si "riforma" il modo di scritturare gli artisti, rendendolo compatibile con i principi di sana, corretta, limpida ed inefficiente assegnazione delle forniture, o si analizzano i meccanismi specifici delle attività musicali e le si regolamentano in modo specifico. Io sono per la seconda ipotesi, e molto probabilmente la mia opinione è di quelle che non stanno giuridicamente in piedi. A questo punto devo solo sperare che non prevalga la prima ipotesi e che rimanga in vita il regime misto ed ibrido che in certi casi consente per lo meno di operare in modo tempestivo ed efficace. Ma non credo comunque che si possa parlare veramente di legge di riforma se non si riformano prima le applicazioni meccaniche, le fatali applicazioni analogiche di principi generali del diritto e se, in conseguenza, non si riforma la mentalità dei controllori, oggi ridotti, anche loro malgrado, ad esercitare non il controllo sostanziale ma la censura. Prova d'orchestra di Federico Fellini ha riunito in un'ora di spettacolo ciò che nella realtà succede forse in cinque anni. Credo che con un rapporto molto più stretto si potrebbe confezionare uno spettacolo altrettanto esilarante e altrettanto sgomentevole intitolato Ispezione dei revisori dei conti.
In vista della riforma si chiede da più parti, sinistra compresa, che i dirigenti dei teatri siano dei managers e che garantiscano l'economicità della gestione. L'economicità della gestione, secondo me, non dovrebbe identificarsi con il pareggio del bilancio, ma dovrebbe significare rapporto tra ciò che si spende e ciò che si dà alla collettività. Il manager ci può arrivare? Penso di sì. L'azione del manager è compatibile con il controllo di un Consiglio d'Amministrazione rappresentativo della collettività? Penso di sì. Il manager è il toccasana? Penso di no. Il manager andrebbe benissimo, ma non in quanto manager di chiara fama. Non servirebbe chiamare dei managers a gestire degli Enti Lirici o dei centri di produzione musicale: bisognerebbe creare le premesse e le condizioni perché solo dei managers siano in grado di gestirli.
E' possibile ciò? Penso di no. Ma il nostro è il paese dei miracoli.

Piero Rattalino (Musica Viva, Anno VI n.2, febbraio 1982)

Nessun commento: