Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

martedì, agosto 23, 2005

Il Quartetto in due tempi (1955) di Bruno Maderna

Bruno Maderna
Gli inizi, contrariamente a quanto si crede, son sempre facili. Le opere I nascono sotto il crisma della felicità. Si dice quello che passa per la testa, senza porsi problemi di originalità stilistica. Nei sentieri già aperti si cammina molto piú svelti che su terreno vergine. Maderna non aveva difficoltà a riconoscere i propri debiti: «Una volta - scrisse nella già citata autopresentazione - si aveva la piú grande fiducia nella bontà dell'imitazione; oggi ognuno custodisce gelosamente la propria sensibilità coccolata al riparo degli influssi». Queste cautele non erano per lui, che la pratica della direzione d'orchestra esponeva ai quattro venti della musica presente e passata.
Difficile non è cominciare, difficile è continuare. Le pene della creazione, les offres du style, gli affanni della consapevolezza stilistica cominciano con le opere 2. Prendiamo ad esempio il Quartetto in due tempi, un altro dei lavori giovanili di Maderna, insieme con la Serenata, che costituiscono un punto fermo, un riferimento essenziale.
Qui sí, siamo in piena dodecafonia. L'esaltante parentesi bartokiana è stata niente piú che la scappata d'un puledro selvaggio, buttatosi fuori della pista. Il Concerto per due pianoforti sembra un frutto maturo, ma quella maturità è finta, è stata raggiunta attraverso una scorciatoia, rinunciando all'originalità stilistica. L'autenticità del suo stile Maderna non la può trarre dall'esperienza isolata del geniale ungherese. Deve entrare in quella che - piaccia o non piaccia - sta allora diventando la strada maestra della musica nuova: la dodecafonia nelle sue ultime formulazíoni, quelle che, attraverso la lezione di Webern, portano al momento puntillista. Col Quartetto (e con la Serenata) Maderna trova il suo posto nel quadro della musica europea. Non definitivo, ché Maderna non era tipo da restare l'epigone di nessuno, e anche la crisalide postweberniana, al momento giusto egli la farà saltare. Diciamo che ha trovato la sua strada, e comincia a percorrerla in umiltà, stringendo i denti e sopportando un duro basto. Nessun dubbio che il Quartetto è meno piacevole da sentire di quanto lo fosse il Concerto per 2 pianoforti, con l'euforia del suo dinamismo ritmico. Eppure è molto piú avanti. Non diciamo che sia piú vero, piú autentico. Neanche qui Maderna non è ancora lui. Ma è sulla strada giusta per trovarsi. Attraverso quell'inizio cauto, esplorante, del puntillistico primo movimento, attraverso le fiammate drammatiche del secondo tempo, con quegli incendi di trémoli, con gli accessi furiosi di sciabolate sonore alternate a smarrimenti quasi statici, si istituisce una bilancia tra Schönberg e Webern, ma fanno pure capolino gli estremi della personalità di Maderna, macerati in un'ascetica disciplina. C'è un'insistenza singolare sulla ripetizione d'un singolo suono, assunta quasi a funzione tematica, come un rifiuto a dis-correre, cioè a trascorrere via da una nota all'altra. Accanto a questa mortificazione e accanto all'esasperato rigore seriale, l'altro aspetto della natura di Maderna, la sua insaziabile golosità del fenomeno acustico, si manifesta nell'interesse per i piú diversi attacchi del suono: il pizzicato, l'arco, gli armonici, i colpetti battuti sulla cassa dello strumento.
Magistrale nella scrittura seriale, che nel secondo tempo riproduce a specchio il primo, fedelmente, nota per nota, il Quartetto può anche parere una tappa poco amena nell'itinerario stilistico di Maderna, qualcosa come una penitenza, un'autopunizione. Ma di lí bisognava passare, e fu un esempio, un modello per molti.

da "Maderna musicista europeo" di Massimo Mila (Einaudi, 1976)

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